L’istituto di studi e ricerche Astrid ha prodotto tre interessanti lavori sul riassetto delle regole europee. Sono frutto di un’analisi (iniziata ben prima della pandemia) sul futuro dell’Unione europea nel contesto internazionale in via di cambiamento; tale analisi, articolata in vari gruppi di lavoro, sta proseguendo e porterà a uno studio complessivo. Nel frattempo, data l’imminenza della trattativa sulle regole europee per la vigilanza delle politiche di bilancio, tre papers specifici sono stati pubblicati sul sito di Astrid, inviati alla Commissione europea e alle autorità politiche italiane e stanno prendendo il via una serie di discussioni seminariali.



Dei tre lavori, uno, a firma di Giuliano Amato, Franco Bassanini, Marcello Messori e Gian Luigi Tosato e intitolato The new European fiscal framework: how to harmonise rules and discretion (Il nuovo quadro europeo di politica di bilancio: come armonizzare regole e discrezionalità), è una proposta organica che potrebbe essere presa come base per il negoziato sulle regole europee di vigilanza sulla finanza pubblica degli Stati membri dell’unione monetaria. Gli altri due (On Reforming the EU Fiscal Framework A contribution to the European Commission Review of the EU Economic Governance Framework di Massimo Bordigon e Giuseppe Pisauro e Comments on the revision procedures for EU fiscal rules di Gian Luigi Tosato) riguardano aspetti specifici tecnico-economici il primo e tecnico-giuridici il secondo. A rigore andrebbero letti e meditati tutti e tre, ma chi ha vincoli di tempo può soffermarsi sul primo che, d’altronde, tiene conto delle conclusioni degli altri due.



In estrema sintesi, i trattati europei non verrebbero cambiati, ma prendendo spunto dalla Recovery and Resilience Facility del Next Generation Eu, i singoli Stati europei concluderebbero accordi-intese bilaterali con la Commissione europea per programmi decennali di riassetto strutturale al fine di tornare a un basso debito e indebitamento della Pubblica amministrazione nei termini previsti dai trattati, senza però vincoli aggiuntivi quali la riduzione di un ventesimo l’anno del debito eccedente quanto stipulato a Maastricht. Questi Fiscal and Structural Plans (FSPs) sarebbe monitorati dalla Commissione e naturalmente nel corso dei dieci anni verrebbero mutati se le condizioni di contesto lo richiedessero. Sarebbero rivolti alla crescita e alla trasformazione ecologica e digitale (due obiettivi europei per conseguire una maggiore dotazione di beni pubblici anche essi europei) e le spese per queste due voci, quindi, sarebbero escluse (ai fini della vigilanza sulle politiche di bilancio) dal computo del debito e dell’indebitamento delle pubbliche amministrazioni, con una chiara definizione delle spese incrementali ammissibili (allo scopo di evitare comportamenti “opportunistici” da parte dei singoli Stati).



Le “regole fiscali” europee, che negli ultimi vent’anni sono state complicate da successivi aggiornamenti tramite accordi inter-governativi, verrebbero semplificate e rese più trasparenti. Fondi europei verrebbero “attivati” a sostegno di questi obiettivi; ciò implica anche un incremento delle risorse della Commissione o tramite un aumento del proprio bilancio o tramite ricorso al mercato.

Non ci sarebbero programmi speciali per la riduzione del debito (sul tipo di quelli presentati nelle ultime settimane da alcuni economisti) dato che si seguirebbe la strada maestra: la crescita per ridurre il  peso del debito, tramite un appropriato riassetto strutturale che, naturalmente, implica riforme, non solo investimenti ben concepiti e ben realizzati. Il riassetto strutturale e le riforme indurrebbero anche e soprattutto le imprese a tornare a investire e innovare.

La proposta è innovativa ma ha anche un profumo di antico. Ciò non vuole dire che il profumo di antico non sia buono, ma va valutato nelle sue implicazioni operative. Lo schema ricorda molto il Rapporto Brandt del lontano 1980 che propose alle istituzioni finanziarie internazionali (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale) di de-enfatizzare i prestiti per progetti specifici e di orientare i loro finanziamenti (aumentandone la consistenza) al riassetto strutturale. Ci sono state varie storie di successo (prima di tutto, la modernizzazione e lo sviluppo della Corea del Sud, che Banca e Fondo avevano negli anni sessanta definito “un caso malthusiano di sempre più grave impoverimento”). Tali programmi comportano, in materia di riforme, una condizionalità più o meno forte.

È possibile che questo profumo d’antico sia stato non solo un contributo dello studio della letteratura in materia di riassetto strutturale degli ultimi quarant’anni (è vastissima), ma un apporto personale di Giuliano Amato che passò un anno alla Brookings Institution a Washington proprio nel periodo in cui si discuteva di riassetto strutturale e come supportarlo (con riforme e finanziamenti).

Questo aspetto richiede un approfondimento. Occorre chiedersi se la Commissione europea ha, o può avere in un lasso relativamente breve di tempo, la capacità tecnico-professionale di aiutare gli Stati membri ad allestire programmi decennali di riassetto strutturale e successivamente di monitorarli. Ricordo una Direzione generale affari economici e finanziari della Commissione le cui risorse ed esperienza erano molto, molto inferiori di quelle concentrate nel triangolo tra Massachusetts Avenue (Brookings), Pennsylvania Avenue e Diciannovesima strada (Fmi e Banca mondiale). Acquisirne di nuove non è facile. Ancora più arduo amalgamarle. Basta vedere quello che sta avvenendo nei dicasteri-chiave dove stanno arrivando gli esperti assunti per il Piano nazionale di ripresa e resilienza e non ci sono stanze dove alloggiarli e scrivanie per farli lavorare.

È un approfondimento che deve fare la Commissione europea, se la proposta viene recepita nei suoi termini generali. Anche pensando a un accordo “di servizio” con un’istituzione di Bretton Woods. Questa è, d’altronde, la strada seguita dalle Banche regionali di sviluppo (ad esempio, la Banca africana di sviluppo, la Banca asiatica di sviluppo, la Banca Inter-Americana di Sviluppo) nel co-finanziare programmi di riassetto strutturale con istituzioni di Bretton Woods.

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