Ieri la Commissione europea ha sospeso il Patto di stabilità fino a tutto il 2022 mentre buona parte dell’economia europea è ancora gelata dalle restrizioni. Il futuro immediato delle regole fiscali europee era stato correttamente predetto da tutti i principali organi di informazione finanziaria che notavano due elementi: il primo è che la Banca centrale europea si è già spinta molto avanti nel sostegno ai mercati e ai rendimenti e quindi i suoi spazi di manovra per rilanciare l’economia si sono ridotti e serve la “politica fiscale”; il secondo è che l’economia europea è ancora in lockdown e in alcuni Paesi, per esempio l’Italia, le restrizioni non solo non verranno allentate ma peggioreranno. Le stime di recupero del Pil di molti Paesi sono ottimistiche. La Commissione europea non poteva fare altro che questo e forse si è guadagnato altro tempo, ma tutte le questioni rimangono sul tavolo.
Se alcuni Paesi dell’eurozona stanno arrancando di più, sia per le restrizioni che per politiche fiscali che saranno più prudenti di quelle dei Paesi indebitati (secondo le stesse linee guida dell’Europa), i problemi dell’Europa rimangono tutti sul tavolo. La responsabile della ricerca macro di Blackrock, Elga Bartsch, appena un mese fa avvertiva che “il principale rischio per la Bce non è l’aumento dei debiti pubblici ma l’assenza di un’unione fiscale”. Sui mercati la consapevolezza degli elementi di debolezza dell’Unione è chiara. Il rischio è un’ulteriore divaricazione della performance dei Paesi membri che viene aggravata dalla diversa gestione della pandemia, dai problemi della campagna vaccinale e di una risposta statale che rimane comunque differenziata in base ai livelli del debito pubblico. L’analisi è completamente asettica; l’Unione europea non è buona o cattiva verso gli italiani o i tedeschi, ma i difetti di costruzione rischiano di essere esasperati da questa crisi senza una unione fiscale.
Martedì Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della Bce, ha dichiarato che “non c’è motivo di esitare ad aumentare il volume degli acquisti e a spendere l’intera dotazione del Pepp o anche di più se necessario”. Questa considerazione si sviluppa dopo che nelle ultime settimane i “tassi in euro su tutte le scadenze, inclusi quelli privi di rischio, sono rimasti ben al di sopra dei livelli registrati all’inizio di quest’anno”. La Bce, in sostanza, dovrebbe continuare a intervenire. L’unico problema è che gli indizi che segnalano un aumento generalizzato dei prezzi e dell’inflazione si stanno moltiplicando e non se ne vede la fine. La sensibilità sul tema “inflazione” tra i Paesi membri è molto diversa e rimarrà diversa se le restrizioni saranno così diverse all’interno dell’Europa.
La Commissione europea sospende il patto di stabilità per tutto il 2022 perché la ripresa ritarda e i danni da lockdown sono duraturi. La Bce continuerà a fare il suo mestiere per salvare l’euro come è inevitabile che sia, ma il problema fondamentale rimane ed è quello che ha descritto Elga Bartsch e che i mercati non si dimenticano neanche con tutti i Pepp e i programmi della Bce della terra.
Quello che dovrebbe fare l’Europa, ancora di più per Paesi come l’Italia, è riaprire l’economia con gli strumenti di cui si parla: vaccini, protocolli e così via. Dovrebbe farlo perché altrimenti questa crisi agirà come le precedenti a causa dei difetti della costruzione e cioè divaricando le performance economiche dei Paesi membri tenute insieme, sempre più a fatica, dalla Bce. I piani di rilancio possono molto poco se l’economia è chiusa e tantomeno se alcuni Paesi membri stanno chiusi sei mesi e altri sei settimane.