Ieri è arrivato il via libera definitivo dell’europarlamento di Strasburgo al Patto di stabilità. È lo stesso accordo siglato nel dicembre scorso dal ministro Giorgetti dopo un’estenuante trattativa della quale il Governo non poteva dirsi soddisfatto e che il ministro dell’Economia aveva definito un “compromesso” necessario e inevitabile, addirittura “sostenibile”, perché, nel contesto di un negoziato migliorabile ma a noi sfavorevole, l’Italia era comunque riuscita ad avvantaggiarsi di un allungamento fino a 7 anni della traiettoria di rientro da debito e deficit. Un boccone comunque amaro da buttar giù, dopo aver respinto il MES, per resistere alle pressione del Colle e dei burocrati Ue inviperiti.
Una premessa, questa, necessaria per orientarsi nel voto di ieri, perché si sa che tra Bruxelles e Strasburgo le apparenze ingannano e sono una manna per chi vuol presentare le cose a modo suo. Infatti i parlamentari di FI, Lega e FdI ieri si sono astenuti, e tanto è bastato all’opposizione di Pd e M5s per chiedere le dimissioni di Giorgetti, uomo del compromesso natalizio, “sconfessato” – a loro dire – dal voto della sua maggioranza. Partiamo dal “giochino” di Pd e M5s: il partito della Schlein si è astenuto per non dividersi, visti i troppi pareri discordanti tra gli eurodeputati piddini, e perché non si è mai abbastanza europeisti e le regole sono sempre troppo morbide. Il movimento di Conte ha fatto altrettanto perché dopo avere regalato all’Europa la maggioranza Ursula non ha niente da perdere. Pertanto le dimissioni di Giorgetti, richieste dall’opposizione, sono solo un titolo ad effetto. Lo si può leggere oggi su Repubblica: “Patto tradito”, “incoerenti e inaffidabili” e via dicendo. L’ennesimo caso costruito ad arte per tentare una spallata al Governo.
Purtroppo per Giorgetti è l’ennesima boutade: al ministro non parrebbe vero di essere sfiduciato dai suoi e di togliersi finalmente la zavorra del MEF dalle sue spalle. Fosse per lui si sarebbe già dimesso da mesi, è arrivato ormai al limite della sopportazione personale.
Ma l’astensione del centrodestra in Europa non è un tradimento, tutt’altro, è assolutamente in linea col pensiero di Giorgetti: il Patto passa perché ha i numeri, ma senza l’assenso politico dell’Italia. Il concetto in soldoni è questo: noi prendiamo le distanze da questa Commissione UE e dalle sue regole fiscali perché questo non è il nostro Patto, e si spera che, dopo le elezioni, una Commissione diversa, più intelligente e flessibile, lo modifichi. Chissà, magari, proprio lo stesso Giorgetti ne farà parte.
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