Il Consiglio europeo si è chiuso con la nomina dei “top jobs” Ue per la legislatura appena iniziata. Tra i primi impegni della nuova Commissione, che con tutta probabilità sarà guidata ancora da Ursula von der Leyen (la sua nomina dovrà essere ratificata dal Parlamento europeo), ci sarà anche la gestione delle procedure d’infrazione per eccesso di deficit nei confronti di ben 7 Paesi membri, tra cui Francia e Italia. Abbiamo chiesto un commento a Sergio Cesaratto, professore di politica fiscale e monetaria europea al DEPS-Università di Siena e autore di Sei lezioni di economia e Sei lezioni sulla moneta (ambedue per Diarkos).



Cosa pensa della tempistica e della modalità con cui queste procedure sono state avviate (subito dopo le elezioni europee e da parte di una Commissione di fatto uscente), per quanto fossero note da settimane?

Non penso nulla, le cose vanno fatte per tempo, perfino quelle sbagliate. E poi tutto dipende dalla politica, ci sarà un nuovo Governo francese con tutta probabilità a cui, certo, si è voluto dare un segnale di rigore fiscale.



Solamente a novembre si saprà quali saranno le azioni correttive richieste all’Italia. Nel frattempo ci saranno dei negoziati tra Bruxelles e Roma sulla traiettoria tecnica di rientro dei conti pubblici prevista dalla riforma del Patto di stabilità e sul Piano strutturale di bilancio che il Governo italiano dovrà presentare entro il 20 settembre. Non c’è il rischio che possano prevalere la discrezionalità e le trattative politiche?

Beh, la filosofia della riforma del Patto di stabilità era proprio che ciascun Paese trattasse il proprio caso con la Commissione superando l’applicazione meccanica di “regole stupide”. Nei fatti tali regole esistono ancora. Ma, come abbiamo spesso detto, regole di spesa in una famiglia servono. Il problema è se la famiglia adotta una governance che fa crescere le risorse e le redistribuisce equamente. Questo in Europa non c’è. L’Europa non è una famiglia, è al massimo un condominio litigioso con pessimi amministratori.



A causa della procedura d’infrazione, è previsto un aggiustamento minimo pari allo 0,5% del Pil l’anno. Sembra un traguardo facilmente raggiungibile per il nostro Paese. Non c’è il rischio, però, di confondere l’aggiustamento minimo con quello che verrà effettivamente richiesto?

Possibile. La sostanza è che l’aggiustamento, per giunta contemporaneo in Paesi importanti e senza che gli altri adottino politiche fiscali di segno opposto, è recessivo. E dio sa se di questo abbiamo bisogno, in Italia e in Europa. Da noi il Ssn sta crollando, c’è da investire in ambiente e nuove tecnologie. L’Europa ha forse già perso la corsa tecnologica con Cina e Stati Uniti. E poi c’è il calo demografico. E che fa? Indossa il cilicio. Dio acceca chi… Il Governo potrebbe naturalmente reagire.

E come?

Disavanzi e debito li fa la spesa pubblica, ma anche i tassi di interesse sul debito e la tolleranza per l’evasione fiscale. Cominciando da quest’ultima, l’evasione da parte del lavoro autonomo è spaventosa. Per giunta esso gode di trattamenti fiscali privilegiati da parte di questo Governo. Ma ha letto i redditi dei tassisti di cui s’è parlato la scorsa settimana? Poverini, mille euro al mese! E poi han pagato così tanto la loro licenza, e chissà perché? Capisco che non rilascino mai lo scontrino fiscale (almeno nel centro-sud), con questi redditi da fame… Forse si dovrebbe dire basta.

Ma se sui taxi il Governo potrebbe intervenire, sui tassi può poco…

Eh no. Se i tassi sono alti per combattere l’inflazione, aggravando la spesa pubblica per interessi, su almeno una delle due cause del rialzo dei prezzi, la guerra con la Russia e l’aumento del costo dell’energia, il Governo potrebbe fare qualcosa (l’altra causa è stata il malfunzionamento delle catene di approvvigionamento internazionali in seguito alla pandemia, anche se l’atteggiamento medievale anti-vax di questo Governo non depone bene per future emergenze).

Ma la guerra l’ha scatenata la Russia…

È vero, ma dopo due decenni di politiche americane e Nato ostili a Mosca. No all’allargamento della Nato a Est. Mosca l’ha sempre detto. Qual è la convenienza europea a politiche ostili alla Russia? Davvero si pensa che Putin voglia e possa aggredire l’Europa occidentale? Si avvii la costituzione di un serio esercito europeo (si vis pacem…) e poi si tratti. Ma basta con questo assurdo massacro. Purtroppo la nomina della signora Kaja Kallas a rappresentante per la politica estera dell’Unione suona come l’ennesima dichiarazione di ostilità alla Russia.

La Francia, in queste settimane è al centro dei timori dei mercati, come si vede anche dallo spread tra Oat e Bund, che fa salire anche quello tra Btp e Bund. Pensa che possa esserci una nuova crisi del debito sovrano europeo?

È sempre possibile. I francesi non sono italiani, non ingoiano facilmente i tagli fiscali. Vedremo come la destra gestirà la situazione. Certo, la destra darà molti contentini ai gilets jaunes col ridimensionamento delle politiche ambientali nazionali ed europee. Inquina quanto ti pare è il suo slogan (anche da noi), che spaccia come istanza libertaria. Al massimo sono libertini ambientali.

In una recente intervista, Christine Lagarde ha spiegato che il Transmission Protection Instrument (Tpi) potrebbe essere utilizzato anche da un Paese sottoposto a procedura d’infrazione per deficit eccessivo. Crede che questo strumento basterebbe a fronteggiare possibili turbolenze per lo spread di Paesi come l’Italia o la Francia?

Beh, certo che la regola per cui la Bce interviene a sostegno dei Paesi che non ne han bisogno (hanno i conti a posto) è ridicola. È chiaro che la Bce interverrebbe col Tpi solo se il Paese ha già concordato con la Commissione politiche di rientro da deficit e debito; o se costretta a intervenire per un’esplosione degli spread come nel 2012, allora lo farebbe à la Draghi, con un intervento che al contempo coinvolgerebbe Commissione e Mes (quello attuale), i quali imporrebbero il rigore fiscale. Il successo di queste politiche l’abbiamo sperimentato lo scorso decennio. Fanno peggio o al massimo tengono in vita il paziente.

La Bce ha intanto tagliato i tassi di interesse dello 0,25%, confermando una politica monetaria restrittiva (considerando i tassi reali) e senza fornire chiare indicazioni su come agirà nei prossimi mesi. Tra l’altro a fine anno cesserà il programma di riacquisto di titoli di stato nell’ambito del programma Pepp. Cosa pensa dell’atteggiamento della Bce di fronte alla situazione attuale dell’Eurozona?

La Bce e la politica monetaria sono solo un corno della politica economica europea, l’altro è la politica fiscale che in Europa è assente, oltre naturalmente a una politica internazionale nel proprio interesse. C’è però un aspetto della politica monetaria su cui vorrei tornare. 

Quale?

Per questioni tecniche legate alle modalità di attuazione della politica monetaria, le banche centrali nazionali (Bcn) dell’Eurosistema stanno erogando alle banche commerciali, alle cifre attuali, quasi 120 miliardi di euro all’anno. Una cifra enorme. Sono gli interessi che pagano sull’eccesso di riserve bancarie che gli istituti di credito detengono presso le Bcn.

E qual è l’origine di questa liquidità?

È nelle politiche di acquisto di titoli pubblici effettuate negli scorsi anni. Finché i tassi erano zero non c’era problema, ma coi tassi belli alti che abbiamo ora il problema è serio. Per giunta questa liquidità è soprattutto presso le banche tedesche, quindi un costo per la Bundesbank.

Che non ci riguarda quindi…

Purtroppo ci riguarda. I costi e profitti relativi alla politica monetaria conseguiti dalle Bcn sono messi in comune, per cui la Banca d’Italia ha girato lo scorso anno 14 miliardi di euro alla Bundesbank come “contributo di solidarietà”. Non sorprende che i profitti che la Banca trasferisce allo Stato – dovuti negli anni passati agli interessi che via Nazionale percepiva sui titoli di Stato italiani e che restituiva a via XX Settembre – siano ridotti al lumicino (anzi, sono negativi se si tiene conto di una imposta negativa di cui la Banca ha beneficiato).

E non si può far niente?

Una proposta è di innalzare la riserva obbligatoria, attualmente molto piccola (1% dei depositi bancari) non remunerandola. La Banca centrale svizzera l’ha fatto portandola al 4%. Il problema è che, come dicevo, le banche italiane non hanno tante riserve in eccesso, per cui con una riserva al 4% o più alta potrebbero aver bisogno di liquidità dalla Bce o dalle banche nordiche, e questa è costosa. Insomma, un bel pasticcio a cui va però posto un rimedio non facile a trovarsi. I prossimi giorni speriamo di pubblicare un paper molto documentato su questo (chi ha fretta guardi qui). Intanto si potrebbe por fine alla partecipazione europea alla guerra americana contro la Russia e ristabilire un clima costruttivo nel continente.

(Lorenzo Torrisi)

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