Ha fatto discutere politicamente la scelta degli europarlamentari italiani appartenenti alla maggioranza di astenersi nel voto che ha dato il via libera definitivo alla riforma del Patto di stabilità, con le opposizioni che hanno parlato di segnale di sfiducia al ministro dell’Economia Giorgetti che quella riforma l’aveva avvallata all’Ecofin straordinario tenutosi alla fine dello scorso anno. Secondo Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, se al Governo ci fossero stati M5s o Pd non si sarebbe portato a casa un Patto di stabilità migliore, anche perché «certe dinamiche sono decise a livello europeo e l’Italia pare non avere più una carta negoziale per riuscire a ottenere quello che desidera. Il problema è evidentemente di rappresentanza delle proprie istanze, che comprendono un’esigenza di sviluppo, di progresso e di attenzione alle necessità dei più deboli, cosa che le politiche fiscali comunitarie impediscono. Questa incapacità di ottenere qualcosa in Europa è figlia anche di una nostra mancanza di reputazione in termini di capacità di spesa».
Di fatto non possiamo far valere le nostre ragioni perché in Europa non si fidano di noi?
Quando chiediamo margini per maggiori spese non abbiamo più la capacità di convincere Bruxelles e i Paesi partner che sappiamo utilizzare bene quelle risorse. È evidente che bisogna fare un investimento in capitale umano nella Pubblica amministrazione, una rivoluzione organizzativa che ormai manca all’appello da così tanti anni che l’Europa si è disillusa. Il Pnrr è la plastica dimostrazione di ciò, con la famosa proposta del Governo Draghi di assumere nuovi dipendenti per gestire i progetti del Piano con contratti a tempo determinato. Detto questo, abbiamo comunque un’Ue che ormai si inviluppa in se stessa e dovrebbe svegliarsi.
Il Commissario Gentiloni, dopo il voto di Strasburgo, ha ricordato che la riforma del Patto di stabilità rappresenta un compresso non perfetto, ma “indubbiamente migliore delle regole esistenti”, soprattutto perché “rafforza gli incentivi per gli investimenti pubblici” , definisce “un percorso credibile per la necessaria riduzione del debito” e “garantisce che gli Stati membri abbiano la responsabilità delle loro politiche fiscali, all’interno di un quadro comune europeo”. Cosa ne pensa?
Gli investimenti pubblici non sono più caratterizzati da quel drammatico declino che ha portato a far schizzare il nostro debito pubblico su Pil dopo il 2011. Ricordiamoci, però, che il Pnrr con la sua quota di investimenti pubblici scadrà a fine 2026 e che il nuovo Patto di stabilità chiede ai Governi di portare il deficit/Pil non più al 3% ma all’1,5%. E alle imprese che guardano le traiettorie prefigurate per la riduzione del deficit nel nostro Paese nei prossimi tre anni non va proprio di fare investimenti visto il rischio di non vendere i propri prodotti a causa della probabile stretta alla domanda.
Oggi, però, non sappiamo quale sarà esattamente la traiettoria di rientro del deficit, il Def è stato approvato senza quadro programmatico…
Il quadro programmatico verrà messo a punto dopo le europee e occorrerà rispettare i numeri che ci imporrà la Commissione europea. Sappiamo già che si tratterà di numeri che non possono tradursi in promesse espansive. Tant’è che il Governo a due mesi dalle elezioni, momento ideale per tutti i politici per farlo, non è riuscito a mettere sul piatto delle promesse. Basti pensare che solo per prorogare il taglio del cuneo fiscale e la riduzione delle aliquote Irpef serviranno 20 miliardi di euro. Se ci aggiungiamo la riduzione di deficit da operare per l’anno prossimo occorrerà trovare 30 miliardi di maggiori entrate e minori spese. Di più il Governo non potrà fare.
Di fatto, quindi, con questo nuovo Patto di stabilità non è cambiato nulla a livello europeo.
Questa è purtroppo la politica fiscale che l’Ue in tempo di guerra, di sfide geopolitiche immense, è riuscita a darsi. Ed è qualcosa di veramente imbarazzante. I numeri ci condannano chiaramente e sembra che qualsiasi Governo ci sia nel nostro Paese sia impossibile sbloccare questa situazione di stallo, di mancanza di leadership sia in Europa che in Italia. Il nostro Paese potrebbe essere il luogo per dare il via a una svolta, perché ha più bisogno di una diversa politica fiscale, ma occorre superare la sfiducia che grava su di noi. Dobbiamo prendere purtroppo atto che questa “rivoluzione” non parte né da Bruxelles, né da Roma.
Tra due mesi verrà aperta la procedura d’infrazione per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia. Ci saranno, quindi, trattative che andranno avanti anche per la messa a punto del Piano fiscale strutturale. Non dobbiamo aspettarci nulla di buono?
C’è chi pensa che il nuovo Patto di stabilità possa essere modificato da una nuova maggioranza che dovesse emergere dalle elezioni europeo. Sicuramente ci saranno delle significative variazioni in termini di seggi, ma non vedo come possa emergere a un tratto una maggioranza così diversa da far superare dalla sera alla mattina la sfiducia che aleggia sull’Italia. Vedremo, ma penso più che altro che a un certo punto ci sarà un cataclisma europeo o portato dall’esterno per la nostra debolezza o innescato dall’interno per l’insoddisfazione dei cittadini. Intanto continuiamo a navigare totalmente a vista senza slanciarsi da nessuna parte nell’Oceano grande delle opportunità che il mondo offre potenzialmente a tutti.
(Lorenzo Torrisi)
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