Ci vorrebbe Antonio Di Pietro con uno dei suoi “che c’azzecca?” per tentare di capire il senso dell’intervista con Antonio Tajani, vicepremier e leader di Forza Italia, pubblicata ieri dalla Stampa. Nel bel mezzo di una complicatissima trattativa con Bruxelles su Patto di stabilità, bilancio, deficit e Pnrr, piomba il ministro degli Esteri a sostenere che “l’Italia deve dire di sì al Mes”.
Le parole di Tajani fanno oggettivamente il gioco dei socialisti in Europa e del Pd in Italia. Il Mes è il più potente – e pericoloso – strumento di commissariamento che alcune capitali europee possono impiegare nei confronti del nostro Paese ed è una delle armi preferite dal fronte politico-mediatico della sinistra per fare pressione sulla maggioranza di centrodestra. Per di più, Tajani avvolge le sue dichiarazioni con una serie di condizioni che appaiono “creative” quanto irrealizzabili: il Mes dovrebbe essere accompagnato da un “sistema di controllo” da parte del Parlamento europeo. Lo schema in questa proposta è sempre quello del “pacchetto”, una logica di “do ut des” secondo la quale l’Italia, ratificando il Mes, uscirebbe indenne dalla revisione del Patto di stabilità.
È una sequenza di affermazioni contraddittorie che indeboliscono la posizione italiana, nel pieno di una difficile negoziazione con la Commissione di Bruxelles. E anche qui non mancano i paradossi. Infatti, chi sta facendo l’arbitro nella partita del Patto di stabilità che ha al centro, inevitabilmente, anche i nostri conti, cioè la Germania, riesce ad imporsi nonostante abbia truccato i numeri del debito pubblico, come ha sancito la stessa Corte Costituzionale tedesca, collocando fuori bilancio la strabiliante bellezza di 869 miliardi di euro. Per questo Berlino preme per la ratifica del Mes, che servirebbe soprattutto a risanare (con i capitali altrui) le banche tedesche.
All’intervista di Tajani ha risposto, sia pure indirettamente, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti con una nota a margine dell’Ecofin svoltosi a Bruxelles. Secondo Giorgetti, non solo “c’è una guerra in Europa” in tema di bilanci ma soprattutto il Mes è una questione “nelle mani della Camera”. Dunque, la faccenda non fa capo né al ministro dell’Economia né tantomeno a quello degli Esteri, ma al Parlamento. E la prossima settimana i capigruppo decideranno quando fissare la discussione a Montecitorio. Contrarie sarebbero le due maggiori banche italiane: è noto, infatti, che a detenere la maggior parte del debito pubblico italiano sono le nostre banche nazionali, sulle quali graverebbe una eventuale ristrutturazione del debito, decisa dal Mes. Insomma, una pistola puntata alla tempia dei risparmiatori italiani.
A parte il Mes, il leader di Forza Italia ha agitato anche il tema delle alleanze per il futuro Europarlamento. Per battere i socialisti, dice Tajani, “l’unico patto che ha funzionato è quello che ha portato alla mia elezione come presidente del Parlamento europeo: un’alleanza formata da popolari, liberali e conservatori”. L’idea, dunque, è quella di imbarcare i liberali, tra i quali spiccano il partito di Macron in Francia e soprattutto Italia viva di Matteo Renzi, il quale difende ancora il fantomatico “Mes sanitario” per rimettere in sesto la sanità. E anche qui non mancano le contraddizioni, visto che Renzi è stato tra gli affossatori del sistema sanitario nazionale. Dal governo Monti (2012) in poi, infatti, l’esecutivo dell’ex Rottamatore è stato quello che ha tagliato di più sulla salute, come attestano i dati della Fondazione Gimbe: nel 2015 8,2 miliardi di euro tagliati in conseguenza di manovre finanziarie e 2,4 miliardi di minori risorse rispetto a quelle programmate. Di fatto, i liberali sono il partito di Mario Draghi, che continua a negare di volersi candidare a ruoli europei. Comprensibile: non è questo il momento di farlo. Sarebbe l’ennesimo cortocircuito.
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