IL PARLAMENTO UE APPROVA A STRASBURGO LA RIFORMA DEL PATTO DI STABILITÀ: COME HANNO VOTATO I PARTITI
La riforma del Patto di Stabilità e Crescita è ora legge ufficiale dell’Europa: il via libera definitivo, dopo il testo messo a punto da Commissione Europea e Consiglio Ue, è giunto dall’Europarlamento riunito in plenaria a Strasburgo stamane. Le direttive per la nuova governance economica dell’Unione vengono così approvate con 359 Sì, 166 No e 61 astensioni (tra cui si contano molti voti italiani), con totale di presenti a 586 eurodeputati.
Appena prima del nuovo Patto di Stabilità, l’Aula aveva approvato il “braccio preventivo” della norma con 367 Sì, 161 No e 69 astensioni, così come il “braccio correttivo” con 368 voti contrari, 166 contrari e 64 astensioni. Il cosiddetto “Patto di Stabilità e di Crescita” definisce l’insieme di regole di bilancio a cui i Paesi Ue sono tenuti a seguire nel dettaglio ogni volta che impostano l’annuale Manovra di Bilancio: fino al 2020 funzionava così, poi il tutto è stato bloccato per la maxi-crisi economica dovuta alle chiusure per la pandemia Covid, con conseguente “congelamento” delle regole anche per la crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina. Il nuovo patto nato a pochi mesi dalle Elezioni Europee rappresenta un tentativo di “compromesso” tra le spinte dei Paesi “frugali” che vogliono continuare con la rigidità di bilancio e chi invece con alti debiti pubblici (come l’Italia) puntano ad una maggiore flessibilità.
Come ha osservato ironicamente il commissario Gentiloni, il voto per il Patto di Stabilità ha di fatto “unito” tutti i partiti italiani: ad eccezione infatti da M5s e AVS che hanno votato contro, tutti gli altri partiti sono astenuti sulla riforma messa a punto negli scorsi mesi. FdI (ECR), Fi-NM (PPE), Lega (ID) e Pd (PSE) in protesta contro regole considerate ancora troppo “austere”. Gli unici tre voti a favore sono arrivati da tre eurodeputati in dissenso con i propri gruppi d’origine: Lara Comi (FI), Marco Zullo (ex M5s, oggi in Renew) e Herbert Dorfmann (SVP).
GENTILONI: “PATTO DI STABILITÀ NON È PERFETTO MA È UN BUON COMPROMESSO”
Secondo il Commissario agli Affari Economici Ue, Paolo Gentiloni, il compromesso raggiunto dal testo del nuovo Patto di Stabilità è qualcosa di non perfetto ma comunque accettabile: intervenendo in plenaria prima del voto sulla riforma delle regole di bilancio, l’ex Premier Pd ha spiegato come la Commissione ha ora «molto lavoro da fare per correggere le regole fiscali esistenti, regole così rigide che spesso non venivano applicate. Quello che abbiamo raggiunto non è perfetto. È un buon compromesso».
In sede di trilogo europeo, il risultato della nuova riforma sorge dalla «determinazione di tutti a far progredire e migliorare l’attuale quadro legislativo», spiega ancora Gentiloni. Regole più “flessibili” rispetto al precedente patto e anche più “credibili” nell’attuazione: questo confida il Commissario Ue. Come spiegò in sede di formulazione del nuovo patto a dicembre 2023 il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il testo raggiunto è tutt’altro che perfetto e purtroppo sconta per l’Italia anni di mal politiche sul debito, da ultimo il “buco nero” del Superbonus: «Ci sono alcune cose positive e altre meno. L’Italia ha ottenuto però molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese volto – aggiunse il capo del MEF – da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall’altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo».
In merito alla clausola generale di “salvaguardia” per le regole di bilancio, spiega Gentiloni, nel nuovo Patto si ha la prospettiva di ridurre il debito e il deficit accumulati ma allo stesso tempo di «rafforzare la crescita attraverso il recupero del potere d’acquisto, il calo dell’inflazione e la conservazione degli investimenti pubblici». L’adozione della riforma sul Patto di Stabilità, conclude, consentirà a livello graduale di ridurre il debito senza però compromettere troppo la crescita: «ci aiuterà a a proteggere il livello degli investimenti pubblici, che sono più che mai necessari per finanziare le transizioni verdi e digitali, per salvaguardare il nostro modello sociale e per garantire la sicurezza del continente».
COSA CAMBIA CON LA RIFORMA DEL PATTO: DEBITO, INVESTIMENTI E…
Diverse le nuove regole approvate dai vertici europei in merito al Patto di Stabilità appena licenziato dal Parlamento Ue in seduta plenaria: in primis, viene ribadita una disciplina fiscale senza però essere troppo a discapito di crescita e competitività (come delicato tra l’altro nel piano strategico anticipato dal Presidente Mario Draghi, ndr). L’accordo prevede che tutti i Paesi Ue riducano il proprio debito pubblico in media dell’1% annuo se il deficit è superiore al 90% del PIL – che è poi il caso dell’Italia – mentre dello 0,5% se il debito è compreso tra 60 e 90% del PIL.
Sono requisiti comunque meno restrittivi rispetto al precedente Patto di Stabilità (prima si imponeva una riduzione del debito di almeno un ventesimo dell’eccedenza) anche se per nulla “flessibili” come era nelle speranze del Governo italiano all’inizio delle contrattazioni: una delle novità raggiunte fondamentali è però la quota di cofinanziamento nazionale dei programmi finanziati dall’Unione europea che sarà alla fine esclusa dalla spesa di ogni singolo Governo. Questo servirà, spiegano da Bruxelles, per favorire più margine di manovra su investimenti: i detrattori protestano però sottolineando come tali investimenti saranno orientati verso obiettivi decisi centralmente dalla Ue sui temi “sociali”, “green” e “trasformazione digitale”.
«Ci sono regole più realistiche – spiegava ancora Giorgetti dopo la riforma del Patto di Stabilità uscita dal Consiglio Ue – di quelle attualmente in vigore. Le nuove regole naturalmente dovranno sottostare alla prova degli eventi dei prossimi anni che diranno se il sistema funziona realmente come ci aspettiamo».
Va dunque considerata positiva per il Governo italiano il recepimento delle iniziali richieste di estensione automatica del PNRR «connessa agli investimenti del Pnrr, l’aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027».