Pochi hanno ricordato – notevole eccezione l’analisi di Marco Zatterini su La Stampa dell’11 dicembre – che esattamente trent’anni fa, all’alba dell’11 dicembre 1991, è stato concluso il negoziato per il Trattato di Maastricht. Le rievocazioni riguardano essenzialmente gli sforzi del Governo italiano, e dei suoi negoziatori, per far sì che il Bel Paese potesse entrare nel gruppo di testa dell’unione monetaria.
Allora – seguivo gli eventi non solo per la mia attività accademica, ma anche come collaboratore di alcune testate – il negoziato per la costruzione dell’unione monetaria era oggetto di intenso e vivace dibattito pubblico. Occupava le prime pagine dei quotidiani nazionali, le università organizzavano master su quella che sarebbe stata l’Europa dell’euro, la Scuola nazionale d’amministrazione, dove ero docente stabile e coordinavo la componente economica, lanciò corsi nelle sue sedi allora esistenti in varie parti d’Italia per preparare le pubbliche amministrazioni alla transizione dalla lira all’euro, sotto gli aspetti contabili (e non solo). Insomma, era il tema del momento.
Oggi i trent’anni dalla conclusione del Trattato di Maastricht dovrebbero essere l’argomento non tanto di rievocazioni o di bilanci, ma per discutere in pubblico su dove andremo dato che il “cuore” dell’unione monetaria (i parametri per la vigilanza delle politiche di bilancio – il 3% per il rapporto tra indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e il Pil e il 60% per il rapporto tra lo stock di debito e Pil) è “sospeso” a causa della pandemia e l’altro elemento essenziale per l’area dell’euro – le regole per gli aiuti di Stato – è, sempre a ragione della situazione sanitaria “in regime transitorio”.
Dopo trent’anni sarebbe normale fare un “tagliando”, come si dice in gergo metalmeccanico. Tuttavia, la sospensione dei criteri quantitativi di vigilanza delle politiche di bilancio e delle regole per gli aiuti di Stato non è avvenuta in seguito a una riflessione su pregi e inconvenienti del sistema stabilito a Maastricht, ma a un evento non solo improvviso ma inimmaginabile come la pandemia. Ora si tratta di definire se tornare alle regole di Maastricht (e degli accordi intergovernativi – come il Patto stabilità e crescita – che le hanno successivamente declinate), in che lasso di tempo o se modificarle.
Discussioni sono in corso da mesi tra la Commissione europea e le Rappresentanze Permanenti degli Stati membri. Se ne parla tra gli Uffici parlamentari di bilancio dei 19 Stati dell’unione monetaria. Negli Stati membri sono oggetto di seminari, spesso riservati, tra esperti della materia. Ma non sono tema di dibattito pubblico e all’attenzione degli organi di informazione.
È difficile pensare a una “congiura del silenzio”, per mutuare dal titolo di un noto film di Alfred Hitchcock, perché il “cuore” dell’unione monetaria e il come si ripristinano le regole per gli aiuti di Stato sono argomenti che riguardano tutti noi, non unicamente pochi economisti e giuristi.
Ad esempio, se si dovesse tornare una regola per il debito simile a quella del Trattato di Maastricht, spostando l’asticella al rapporto debito/Pil al 100% (ora è la media aritmetica della situazione nei 19 Stati dell’euro, così come nel 1991 il 60% era la media aritmetica degli aspiranti a fare parte dell’unione monetaria), e prevedendo un periodo di transizione di cinque anni per fare l’aggiustamento, l’Italia avrebbe davanti a sé cinque anni di politiche di austerità severissime. Cosa succederebbe agli impianti ex Ilva, alla nuova ITA e a tante medie e grandi aziende, dal ripristino (con un periodo di transizione) delle regole sugli aiuti di Stato?
Questi temi vanno portati nel dibattito pubblico. È comprensibile che quasi non venissero sfiorati finché non fosse in carica il nuovo Governo tedesco. Lo guida Olaf Scholz che è stato Vice Cancelliere e ministro delle Finanze dell’ultimo Governo di Angela Merkel; ai Liberali dell’FDP è stato assegnato, tra l’altro il ministero delle Finanze di cui è titolare Christian Lindner. La Cancelleria e il ministero delle Finanze sono i dicasteri- chiave per la politica tedesca nell’area dell’euro. The Economist dell’11-17 dicembre definisce Scholz come “un uomo tranquillo”. Lindner – è noto – è uno dei fautori del ritorno al più presto delle regole di Maastricht. Su questa testata, Alessandro Fontana ha illustrato in dettaglio il programma di Governo ora in carica in Germania federale sull’argomento.
Quindi, il tema è ormai sul tavolo della politica europea. Le soluzioni tecniche affacciate nei seminari a cui si è fatto cenno devono diventare proposte politiche, se fattibile, e portate nel dibattito pubblico. Non possono restare tra quattro gatti addetti ai lavori. In questa partita, sarà Berlino a dare le carte, con il supporto di Parigi (dove Scholz è corso in visita di Stato subito dopo il giuramento). Roma avrà un ruolo grazie all’autorevolezza personale di Mario Draghi (sino a quando è sul sedile del conducente).
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