Come se fossero le elezioni di midterm americane, le europee di giugno costituiranno un banco di prova per tutta la politica italiana. Contribuiranno a definire chi fra Schlein e Conte potrà rivendicare il bastone del comando dell’opposizione, ma ci dirà soprattutto molto sullo stato di salute del centrodestra di governo, a poco meno di due anni dalla vittoria.
Per Giorgia Meloni sarà la prova più difficile, perché la campagna elettorale s’intreccerà con l’azione di governo e le prospettive del futuro governo dell’Unione. Al momento il raggruppamento europeo di cui la premier è leader, quello dei Conservatori (ECR), si colloca all’opposizione della Commissione guidata da Ursula von der Leyen. Ma fra le due leader è cresciuto un rapporto intenso. E dal momento che PPE, PSE e liberali potrebbero non avere la maggioranza, Meloni potrebbe essere – come abbiamo scritto su queste pagine – la vera kingmaker del bis della politica tedesca al vertice dell’esecutivo comunitario.
Proprio per questo da Palazzo Chigi non potranno partire bordate troppo dure verso i palazzi comunitari, nonostante le partite aperte siano tante, e la tentazione di scaricare sull’Europa si affacci spesso fra le fila della maggioranza. Il nodo più delicato è rappresentato dalla riscrittura del Patto di stabilità, dopo l’accordo raggiunto nella notte fra venerdì e sabato nel negoziato fra parlamento e Consiglio sulle nuove regole. Tutti i Paesi fuori dai parametri, si stabilisce, entro settembre dovranno presentare un piano di rientro, anche se all’insegna della gradualità e della flessibilità. Si tratta di tempi più stretti di quanto si poteva immaginare alla vigilia, destinati a condizionare sensibilmente la politica economica di una nazione come l’Italia, ben lontana dal rispettare sia il tetto del 3% nel rapporto fra deficit e Pil, e del 60% per quello fra debito pubblico e Pil. C’è anche chi si spinge a ipotizzare la necessità di una manovra correttiva dei conti pubblici di metà anno. Di certo Meloni e alleati non potranno prodursi in promesse mirabolanti in campagna elettorale, stanti questi vincoli europei alle viste.
Non troppo dissimile la situazione sul fronte agricolo: di fronte alla protesta dei trattori, il Governo ha addossato tutte le responsabilità del malcontento alle regole del Green Deal europeo. I primi a farlo sono stati gli esponenti della Lega, il secondo Lollobrigida. Ma è un approccio che Meloni non può permettersi, alla vigila del probabile ingresso nella “stanza dei bottoni” europea. Certo, sarà più facile richiamare all’ordine il ministro-cognato che non l’alleato-competitore. Perché Salvini la prospettiva di entrare nella maggioranza che sostiene la Commissione europea non ce l’ha, facendo parte di un gruppo – Identità e Democrazia – destinato a rimanere all’opposizione a Strasburgo. E la durezza delle dichiarazioni dei colonnelli leghisti in questi giorni mostrano che il Carroccio è pronto a far sue le istanze degli agricoltori più di quanto possa permettersi di farlo FdI.
Merita di essere segnalato un altro fronte delicato per Meloni, sempre in chiave europea, quello apertosi con il caso delle condizioni di detenzione di Ilaria Salis, in Ungheria. Dal momento che Viktor Orbán entrerà presto proprio nelle fila dei Conservatori, Meloni non può far finta di niente. Pur avendo politicamente poco a che spartire con l’attivista di sinistra in carcere a Budapest da un anno, la premier italiana dovrà trovare un modo soft per intervenire sull’amico collega, prossimo all’ufficiale ingresso nella famiglia politica di cui, appunto, lei stessa è leader. Troppo fragoroso l’allarme scattato intorno alle condizioni della democrazia in terra magiara. Ne va della sua credibilità come futuro componente della maggioranza che probabilmente deciderà la guida dell’Europa per i prossimi cinque anni.
Meloni, insomma, da qui a giugno dovrà far esercizi di moderazione, cosa che non sempre le riesce al meglio. Per Meloni un grattacapo in più, perché per la prima volta non è “underdog”, ma si trova nel ruolo di componente “governativa”. Le europee saranno l’esame di maturità della sua leadership.
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