La politica – quella cui eravamo abituati prima del coronavirus – ha vissuto con grande insofferenza il lockdown che anch’essa ha dovuto subire. E come molti che si riaffacciano in questi giorni alla vita pubblica, dopo una lunga quarantena ha fretta di ricominciare da dove era rimasta. Questa coazione a ripetere si esprime anche nell’ipotizzare imminenti crisi di governo o nell’immaginare nuove maggioranze. Ma nel frattempo la situazione è cambiata, molto cambiata.



Non solo in Italia, ma in tutto il mondo, la pandemia ha messo in difficoltà il populismo, come si è visto negli Stati Uniti, in Brasile, nel Regno Unito, in Russia. Non è affatto casuale. Il populismo combatte le classi dirigenti, gli esperti, le competenze, la scienza, tutte cose di cui tutto il mondo ha avuto grande bisogno negli ultimi mesi e continua ad averne. Mentre è in atto una corsa frenetica per trovare il vaccino in grado di debellare il Covid-19, le voci dei no vax populisti appaiono in palese contrasto con il più elementare buon senso.



Ma c’è anche qualcosa di più profondo nell’evidente disorientamento del populismo davanti alla sfida della pandemia: per sua natura il populismo è divisivo, mentre la gravità della situazione attuale esige l’unità degli sforzi, all’interno dei popoli e a livello internazionale.

Il caso di Trump è emblematico. Persino il suo ex segretario alla Difesa, James Mattis, repubblicano, lo ha definito “il primo presidente che non prova a unire il popolo americano”. Trump, infatti, ha soffiato sul fuoco del conflitto divampato dopo l’uccisione di George Floyd, invece di invitare gli americani alla riconciliazione come ci si sarebbe aspettato.



Anche nel contesto italiano, il populismo obbedisce ad analoghe pulsioni divisive – per fortuna in forma meno grave – come ha dimostrato la manifestazione di una parte politica organizzata proprio il 2 giugno, anniversario della Repubblica e giorno di unità nazionale. Queste spinte divisive sono di natura radicalmente diversa rispetto al pluralismo che è il sale della democrazia. Il pluralismo, infatti, esprime l’articolazione delle posizioni all’interno di una comunità politica e si fonda sul rispetto delle opinioni altrui, mentre il populismo è intollerante verso le posizioni diverse dalla propria e si fonda sulla contrapposizione tra il “popolo dei populisti” e il “popolo di tutti”. L’incapacità di affrontare crisi gravi come quella provocata da Covid-19 si collega a questo istinto divisivo: il populismo è contro le istituzioni che uniscono il “popolo di tutti” ed è in difficoltà quando deve svolgere un’azione di governo che si prenda cura dell’interesse comune.

Accade anche l’inverso: una forza politica che svolge funzione di governo perde gradualmente i suoi tratti populisti. È accaduto al Movimento 5 Stelle. Alcune sue frange restano ancorate allo spirito delle origini e cercano convergenze con il populismo leghista. L’esperienza di governo sta gradualmente cambiando i “grillini” – a cominciare dallo stesso Grillo – anche se fra di loro continuano ad essere presenti tratti di ideologia populista che emergono su questioni come il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) o le grandi infrastrutture. Tale cambiamento è graduale e poco eclatante ma rappresenta la novità più importante del quadro politico italiano.

È naturale perciò che Goffredo Bettini e Dario Franceschini, due figure inclini a riflessioni politiche di ampio respiro, abbiano rivolto la loro attenzione a questo cambiamento e si siano interrogati sulle sue conseguenze. Dal punto di vista del Pd – la principale diga in questi anni contro le derive populiste – si tratta di un cambiamento indubbiamente positivo. Non è però nell’interesse di questo partito che tale cambiamento porti alla dissoluzione del Movimento 5 Stelle, perché condannerebbe il Pd all’isolamento. La politica – quella vera – si nutre infatti di convergenze, alleanze e, ancora meglio, di coalizioni tra forze diverse.

È perciò naturale ipotizzare, in questa prospettiva, la stabilizzazione dell’intesa fin qui realizzata tra Pd e 5 Stelle e la sua trasformazione in qualcosa di più stabile e definitivo. Tanto più che si prospetta davanti a noi una stagione molto difficile, in cui c’è bisogno più che mai non di dividere il paese ma di governarlo. Chi volesse opporsi a tale convergenza dovrebbe impegnarsi a fondo per liberare il centro-destra italiano di un impianto populista che appare ancora preponderante: sarebbe molto positivo non solo per il centro-destra ma per tutti.