Ieri si sono registrati due fenomeni sull’euro e dintorni: il primo strombazzato su tutti i giornali nostrani come un “successo” governativo e il calo dei rendimenti del Btp; il secondo, altrettanto importante per una comprensione di quello che accade, è il rafforzamento dell’euro sul dollaro. Ieri il tasso di cambio è schizzato verso l’alto. È tutto merito delle istituzioni europee in due puntate.
La prima puntata dura da diverse settimane, e cioè da quando sono diventate chiare le conseguenze, devastanti, del coronavirus sull’economia. In questa prima puntata la Bce è l’unico attore rimasto in campo sul mercato secondario dei titoli di stato italiano per evitare che l’euro salti in modo cruento nella peggiore recessione dell’era contemporanea. Nessuno, per alcun motivo, si può permettere l’implosione dell’euro in questa fase. Eppure la situazione è talmente grave che ormai si discorre di fallimento dello Stato italiano sui quotidiani italiani che finiscono in mano al retail.
La seconda puntata l’abbiamo avuta ieri con l’annuncio “franco-tedesco” del Recovery fund da 500 miliardi di euro per salvare l’eurozona. A che punto siamo della serie? Proviamo a spiegarlo con pochissime parole lasciando ad altre sedi e ad altri autori analisi più dettagliate. Siamo al “whatever it takes” del 2012, siamo al punto in cui chi tiene le fila dell’Europa decide che non vuole segare il ramo su cui è seduto. Il ramo è l’euro e chi c’è seduto sopra è il duo che ha parlato ieri e in particolare, all’interno del duo, la Germania. L’Italia, terza economia dell’area euro, che ha un Governo che ha come unica legittimazione “l’Europa”, non fa nient’altro che attendere quello che decideranno i suoi “padroni”. Ci dispiace per la parola che abbiamo appena usato. Ci dispiace perché non vorremmo che il nostro ragionamento venisse confuso con un “sovranismo” di infimo livello.
Esattamente come nel 2011 e nel 2012 l’operazione di salvataggio dell’euro non è stata “gratuita”, né ha determinato effetti simmetrici all’interno dell’eurozona. L’austerity italiana doveva essere controbilanciata da un aumento della spesa interna all’euro dei Paesi europei con spazio fiscale e in primis dalla Germania. Noi, italiani, facciamo l’austerity; voi, tedeschi, riducete il surplus interno, illegale, e quindi il patto più o meno regge. Quello che è successo è storia. Quella fase ha regalato all’Italia una lunga serie di trimestri di cali di Pil e la colonizzazione della Grecia. Il salvataggio dell’euro di ieri avrà gli stessi effetti del 2011, ma con le dovute proporzioni perché la crisi attuale è sicuramente peggiore. Niente è gratis e non ci siamo mai illusi che potesse essere diversamente da così, nonostante una retorica sull’Europa che ormai è stantia.
Però c’è modo e modo di trattare l’inevitabile resa. Il Governo italiano si è rifiutato di provare ad affrontare la crisi con strumenti “sovrani”. Non parliamo né di uscite dall’euro, né di minibot o simili. Parliamo di ricavarsi spazi di rilancio dell’economia autonomi da quelli che ci vengono dati, a crisi finita e con il sistema distrutto, dai nostri due principali “partner”. Meglio dire concorrenti. I soldi che non arrivano oggi in attesa che i mesi passino e il Recovery fund arrivi scaveranno piaghe profondissime nel tessuto economico e sociale italiano e consegneranno l’Italia all’appuntamento in condizioni disperate.