I soldati nordcoreani in Russia sono un chiaro segnale all’Occidente: nel conflitto ucraino, Mosca non è affatto sola. Una minaccia diretta, spiega Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa, che vale anche per gli USA. Pyongyang, infatti, avrebbe inviato i suoi soldati (gli ucraini ne sono convinti ma i russi non confermano né smentiscono) nella zona di Kursk in seguito a un accordo con Putin, in base al quale se uno dei due Paesi viene attaccato sul suo territorio, l’altro interviene in suo soccorso. Questo accordo funzionerebbe anche se fosse attaccata la Nord Corea, che, quindi, in caso di un’azione militare sudcoreana o americana nei suoi confronti, potrebbe chiedere l’aiuto russo. E la Russia ha armi per colpire il suolo USA. Lo scenario, insomma, è da guerra mondiale e suggerisce che la NATO rifletta sul da farsi e cerchi di attivare la via negoziale, anche perché non avrebbe i mezzi per far fronte a uno sforzo militare come quello che si prospetta in caso di un’escalation in Ucraina.



I soldati nordcoreani sono al fianco dei russi contro gli ucraini. Qual è il significato militare e politico della loro presenza sul campo di battaglia?

La notizia emersa negli ultimi giorni è stata confermata dal Pentagono: credo che i sudcoreani abbiano presentato un briefing su questo in ambito NATO. Dobbiamo capire quanti sono i coreani del Nord e di che tipo di truppe si tratta. Da un punto di vista più generale, si tratta dell’applicazione del documento di partnership strategica siglato a giugno nella visita di Putin a Pyongyang, il cui articolo 4 parla chiaramente di assistenza reciproca nel caso in cui uno dei due Paesi venga assalito e si trovi nella condizione di fronteggiare l’attacco di un Paese terzo. Proprio come viene previsto dall’articolo 51 della Carta dell’ONU.



Infatti, i militari nordcoreani si troverebbero nella zona russa di Kursk: una conferma che la loro presenza è in forza del trattato?

Sì. Si troverebbero a Kursk, in quella parte di territorio russo in cui sono entrati i soldati ucraini. La Russia non ne ha strettamente bisogno, ma ha voluto dare un segnale politico alla NATO e agli USA, che continuano a discutere sulla possibilità di colpire in profondità il territorio russo con le armi fornite a Kiev. Non sono 1.500 o 3mila soldati nordcoreani a fare la differenza, ma è un segnale molto forte per far capire all’Occidente che non potrà battere la Russia e i suoi alleati.



Qualcuno sta già prendendo la palla al balzo e usa il soccorso nordcoreano per rilanciare un intervento della NATO. Basterebbe per giustificarlo?

Non dobbiamo commettere l’errore di considerare la presenza dei nordcoreani come segno di un’escalation: se sono sul territorio russo è nell’ambito dell’intesa fra Mosca e Pyongyang, ma questo non deve essere il pretesto per impiegare le truppe dell’Alleanza Atlantica in Russia. È comunque un grosso segnale per Washington: la partnership fra i due Paesi fa sì che, se attaccata, per esempio dagli americani o dalla Sud Corea, anche la Nord Corea possa chiedere l’aiuto della Russia. Mosca può anche fornire tecnologie e sistemi d’arma in grado di minacciare il territorio degli USA: è questo ciò che più preoccupa gli Stati Uniti.

Oltre alla Corea del Nord, la Russia usa da tempo droni e armamenti prodotti dall’Iran. Insieme a queste due nazioni si è creata una sorta di alleanza, anche militare, di cui fa parte anche la Cina. Mosca può a buon diritto dire di non essere da sola ad affrontare la guerra in Ucraina?

È significativo che l’arrivo dei nordcoreani avvenga mentre analizziamo gli esiti del summit dei BRICS a Kazan: gli accordi militari vanno valutati di pari passo con l’evoluzione di importanti aspetti economici e geopolitici.

L’asse Russia-Cina-Iran-Nord Corea è già in atto?

Il trasferimento di tecnologia e sistemi d’arma dei russi all’Iran è una realtà già da tempo, e con la Nord Corea c’è una partnership siglata la scorsa estate. La Cina è molto più cauta, è molto potente dal punto di vista militare, anche se si tratta di uno strumento che Pechino è riluttante a impiegare: non per niente non ha schierato neanche un solo soldato fuori dai suoi confini. Aiuti militari a Mosca ce ne sono stati, ma si tratta di equipaggiamento individuale. La Corea del Nord, invece, è in grado di fornire sistemi importanti a medio e lungo raggio. Non che la Cina non li abbia, ma è molto restia a elevare il livello di partenariato dal punto di vista militare.

Proseguendo di questo passo, insomma, lo scenario della guerra in Ucraina rischia di diventare quello di una guerra mondiale?

La Russia non è stata a guardare e si è organizzata per non agire da sola, come Washington si è organizzata nello stesso modo. UE e Alleanza Atlantica hanno una postura strategica identica, coincidente, un aspetto senza precedenti. Anche per questo bisogna che il conflitto in Ucraina abbia un esito che porti a ridimensionare il problema e a ridiscutere l’architettura di sicurezza europea. È quanto mai urgente deporre le armi e riflettere su quello che sta accadendo.

La Russia è impegnata sul fronte ucraino ma dice la sua anche in quello mediorientale. Si tratta di due guerre che possono saldarsi tra di loro?

In Siria, anche se gli organi di informazione non ne parlano, i russi hanno ripreso la loro attività militare. Inizialmente ci sono andati per equilibrare l’influenza dell’Iran, ma da quando gli USA hanno lasciato l’Iraq alla sua sorte, la Russia è sempre più presente in Medio Oriente, ne è diventata un attore molto importante. I russi hanno restituito ad Assad il controllo sociale e politico di parte del suo territorio: dal 2011 fino al 2015 hanno costituito una risorsa molto importante.

Se la NATO si impegnerà direttamente in Ucraina ci saranno ripercussioni anche in Medio Oriente?

Non lo farà, non c’è consenso neanche per far aderire l’Ucraina alla NATO. Ci sono almeno sette Paesi che non lo vogliono: USA, Germania, Ungheria, Slovacchia, Spagna, Belgio e Slovenia. E la Francia, ufficialmente a favore, in realtà non lo è così tanto. La NATO non sarà coinvolta direttamente in Ucraina: l’Occidente non ha le risorse militari, non ha l’industria per affrontare uno scenario del genere.

Non può reggere il confronto neppure dal punto di vista dell’industria bellica?

Il Kiel Institute of World Economy ha sviluppato uno strumento che riporta tutti i volumi finanziari degli aiuti che i Paesi occidentali hanno fornito all’Ucraina. Un mese fa ha pubblicato un rapporto che evidenzia chiaramente, in primo luogo, le criticità dell’industria tedesca rispetto a quella russa e poi quelle dell’industria europea della difesa, fornendo dati sulla capacità produttiva. Un lavoro che conferma il fatto che l’Occidente non ha le risorse per affrontare una guerra di logoramento come quella dell’Ucraina. Il coinvolgimento della NATO è impensabile. Sarebbe ora di finirla di sostenere questa narrativa.

Anche perché intanto in Russia la Duma ha aumentato del 30% le spese militari.

Mosca ha riattivato il sistema ereditato dall’URSS, che non ha mai dismesso, ovvero quell’industria dormiente che ora è in grado di produrre armi ed equipaggiamenti a ritmo e costi che per l’Occidente sono impensabili. Parliamo di un decimo di quelli occidentali: l’industria russa produce unicamente per la madrepatria e lo fa a prezzi di costo insostenibili fuori dai suoi confini. Se un colpo di artiglieria a noi costa 1.000-1.500 euro, per produrlo in Russia bastano 100 euro. In più le munizioni gliele dà a milioni la Nord Corea: ha già fornito 5 milioni di granate. Tenendo conto di questi elementi, come possiamo pensare che la NATO possa entrare in guerra?

(Paolo Rossetti)

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