Ramin Bahrami è uno degli ospiti della nuova puntata di Oggi è un altro giorno. Il pianista iraniano ricorda nel corso dell’intervista suo padre Paviz, assassinato in Iran nel 1991 dopo essere stato messo in carcere. “Perché è stato catturato? Papà aveva fatto cultura, come tutta la sua famiglia d’altronde.” rivela Ramin su Rai 1.
Il pianista svela allora di avere in Iran ancora degli affetti cari: “Lì ho un fratello maggiore ancora e mi conferma il fervore e la vitalità di questi giovani che combattono per la propria libertà. La cosa importante è non abbandonare questi giovani.” è l’appello che Ramin Bahrami lancia infine attraverso le telecamere di Rai1. (Aggiornamento di Anna Montesano)
Paviz Bahrami, padre del pianista Ramin, ucciso in Iran nel 1991
Paviz Bahrami era il padre del pianista iraniano Ramin Bahrami, tra i più grandi interpreti internazionali di Bach. Nato nel 1976, Bahrami non ha neppure dieci anni quando deve lasciare il suo Paese con la madre e un fratello. Il padre Paviz, nato a Berlino, metà tedesco e metà persiano, ingegnere e musicista, era stato incarcerato nel 1983. Fu assassinato nel 1991 con l’accusa di essere un oppositore della Repubblica islamica e di aver collaborato con lo Scià.
“Ero già in Italia, avevo poco più di nove anni quando mio fratello maggiore ci telefonò dall’Iran. Ha subito detto: è morto nostro padre. Non mi misi a piangere subito, ma feci una cosa che lui avrebbe gradito. Andai al pianoforte e suonai un Improvviso di Franz Schubert, uno tra i più lugubri e cupi della storia della musica”, ha raccontato il pianista a Famiglia Cristiana.
Ramin Bahrami: il ricordo del padre Paviz
È stato il padre Paviz, violinista e appassionati di Von Karajan, a indirizzare Ramin Bahrami verso Johann Sebastian Bach: “Ricordo le sue parole: “Frequenta Johann Sebastian Bach… perché la sua musica potrà aiutarti molto”. Non le dimenticherò mai”, ha ricordato il musicista sulle pagine di Famiglia Cristiana. La famiglia Bahrami non ha mai saputo le circostanze in cui è morto il padre Paviz: “Ancora oggi non sappiamo come è morto, né dove si trovano i suoi resti. Voleva una scuola moderna, era stato accusato di essere un oppositore della Repubblica islamica e di aver collaborato alle riforme culturali dello scià Reza Pahlavi in quel porto di civiltà, cultura e splendore indoeuropeo che era la Persia millenaria della mia infanzia”, ha raccontato il pianista a Tempi.