Sono oltre 4mila le aziende italiane che producono dispositivi medici e che, a causa della norma voluta da Draghi sul payback, rischiano di chiudere definitivamente. Ne parla un recente articolo del quotidiano italiano La Verità, che spiega anche come la scelta del governo di Giorgia Meloni di prevedere uno sconto da 1 miliardo di euro proprio per evitare questa evenienza, non sia affatto sufficiente a coprire i costi dovuti.
La cifra stanziata per coprire il buco del payback, infatti, sarebbe appena sufficiente a coprire la metà degli importi dovuti per il solo periodo dal 2015 al 2020, e rimarrebbero anche i ballo i 3 miliardi e 600 milioni dovuti per il periodo dal 2019 al 2022. Inoltre, questo “salvagente” sarebbe accessibile solamente alle aziende che decidono di rinunciare ai ricorsi nei tribunali amministrativi regionali, che ad ora sarebbero circa 2mila, di cui 500 straordinari. Le aziende, però, versano in una condizione critica a causa del payback, con alcune tra quelle 4mila a rischio che producono dispositivi medici che devono anche versare cifre più alte rispetto allo stesso fatturato dichiarato.
Sul payback Confindustria chiede aiuto a Bruxelles
Al fine di preservare parte del tessuto economico italiano, a rischio a causa della norma sul payback, si è messa in mezzo anche Confindustria. In una nota inviata direttamente alla Commissione Europea, si chiede di valutare “l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia”. Secondo il sindacato, infatti, il provvedimento “viola le norme comunitarie in materia di concorrenza e accesso al mercato”, configurandosi anche come incostituzionale.
Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria Dispositivi Medici, in un comunicato in cui parla del payback ha anche chiesto un tavolo di confronto con l’esecutivo di Giorgia Meloni per “trovare una soluzione per il superamento dei tetti di spesa e discutere contestualmente di come chiudere” i conti accumulati. La Verità, inolte, sottolinea come il peso del payback cada sull’esecutivo Meloni, seppur la norma sia stata voluta da Matteo Renzi nel 2015, e poi riproposta nell’agosto del 2022 da Draghi. Il fine era quello di reperire fondi per coprire le spese pandemiche, colpendo coloro che, in quel momento, stavano fatturando più di ogni altra azienda del tessuto economico italiano. Il problema, però, è stato far pesare i deficit pubblici sulle aziende che, concretamente, non avevano colpe, tanto della pandemia, quanto dei costi maggiori che lo Stato ha affrontato.