Possono esserci fattori biologici e mentali alla base dei comportamenti criminali, con possibili effetti sull’imputabilità dell’individuo. Lo sa bene lo psichiatra Pietro Pietrini, direttore presso la Scuola IMT Alti Studi di Lucca, noto anche per il caso di Stefania Albertani, che fu condannata a 20 anni di carcere, non all’ergastolo, perché fu riconosciuto un vizio parziale di mente anche per alterazioni in un’area del cervello che regola le azioni aggressive. Inoltre, dal punto di vista genetico c’erano fattori associati ad un rischio maggiore di comportamenti violenti e aggressivi. Fu quindi uno dei primi casi al mondo della validità della neuroscienza per l’accertamento dell’imputabilità e di come abbia sfidato il diritto penale. Per Pietrini, che assiste Benno Neumair, “è conditio sine qua non perché possa esserci un giusto processo”.



Ne ha parlato a Il Dubbio, spiegando che se viene meno una tra la capacità di intendere e quella di volere, allora l’individuo non può essere imputato. “Esiste anche la terza possibilità di una capacità di intendere o volere gravemente scemata ma non totalmente abolita. In questo caso l’individuo è imputabile ma ha diritto ad uno sconto di pena fino ad un terzo”. Il ruolo delle neuroscienze, dunque, è quello di dare una base oggettiva, visto che “non possiamo, ad oggi, misurare la capacità di intendere e di volere, il libero arbitrio o la capacità di autodeterminazione, come misuriamo la glicemia”.



NEUROSCIENZE E DIRITTO PENALE, LE NUOSVE SFIDE

La neuroscienza ha quindi il compito di integrare le tecniche ordinarie. “Oggi, ad esempio, grazie alle moderne tecniche neuroradiologiche, abbiamo la possibilità di misurare la densità neuronale in aree del cervello che sono cruciali per il controllo degli impulsi”, ha spiegato lo psichiatra Pietro Pietrini a Il Dubbio. Ma questo non vuol dire che una persona non è imputabile solo perché ha una ridotta densità neuronale della corteccia. “Noi diciamo che, a riprova di quello che clinicamente abbiamo riscontrato, nell’individuo vi è anche un correlato cerebrale o un rischio genetico che offre un quadro completo delle sue capacità”. Non sempre però il giudice penale ritiene che la presenza di una malattia eserciti un ruolo casuale importante sulla condotta criminosa, anche perché ogni caso va giudicato singolarmente. Più che di parlare di predisposizione ai crimini, Pietrini preferisce parlare di ambienti che “possono avere conseguenze minori o maggiori su certi individui rispetto ad altri”.



C’è un solo caso di determinismo e riguarda una famiglia olandese in cui coloro che avevano una precisa mutazione genetica erano estremamente aggressivi e violenti. “Questa mutazione così grave è fortunatamente estremamente rara”, ha aggiunto lo psichiatra. Quando gli è stato chiesto come sia possibile rieducare uno psicopatico, Pietro Pietrini ha citato il caso americano: “Negli Stati Uniti stanno sperimentando per i giovani psicopatici, insensibili alla punizione, sistemi di gratificazione. Il tentativo è quello di far loro migliorare il comportamento dando loro dei premi”.