La svolta a sinistra del Pd targato Elly Schlein ha riaperto la partita centrista della politica italiana. Le previsioni di una certa emorragia dal partito sono fin troppo scontate.

La federazione che, per ultimo e con estrema fatica, Enrico Letta aveva cercato di tenere assieme è definitivamente tramontata. Negli ultimi dieci anni il Pd è stato al governo (a parte la parentesi del Conte 1) senza mai passare dalle urne e in questo modo è diventato il garante della stabilità e il punto di riferimento delle cancellerie europee in Italia.



E in questo modo è riuscito a coagulare tanti settori anche non tradizionalmente di sinistra che però guardavano con interesse e speranza al tentativo riformista. Ora con la Schlein questi ambienti non avranno più rappresentanza, se non quella di un’opposizione interna più che altro simbolica. Non parliamo dei cattolici di sinistra: le loro istanze e i loro valori saranno archiviati.



Assieme a riformisti e cattolici, nel nuovo Pd ora soffrono anche gli atlantisti, visto che la neosegretaria si accinge a imprimere una svolta pacifista al partito avvicinandolo al M5s. Così, se da un lato ritornano all’ovile i vecchi comunisti di Articolo Uno come Bersani e Speranza, dall’altro dovrebbero uscirne i moderati. Molti osservatori dicono che Carlo Calenda e Matteo Renzi si starebbero fregando le mani, convinti che dal Pd partirà un esodo verso il terzo polo. Il primo a salutare è stato Giuseppe Fioroni, ex Dc, ex Margherita, tra i fondatori del Pd di cui però ha già stracciato la tessera. Ma Fioroni non è andato nel terzo polo: ha annunciato “un nuovo network di cattolici e democratici” chiamato Piattaforma popolare-Tempi nuovi che dovrebbe diventare “la casa di tutti quei popolari e cattolici che sono stati marginalizzati e allontanati”. Un nuovo soggetto. Il che dimostra una cosa: non è affatto scontato che siano Renzi e Calenda l’approdo dei democratici delusi per la svolta radical del Pd schleiniano. Ex renziani rimasti nel Pd, ex della Margherita, la frangia di coloro che erano rimasti nel centrosinistra chiusa la stagione dei “responsabili”: per tutti costoro, né la Schlein né la litigiosa coppia Calenda-Renzi sembrano un porto sicuro.



In questa partita, il centrodestra di governo potrebbe non restare confinato al ruolo di spettatore. I partiti della coalizione hanno motivi per ambire a raccogliere frange del malcontento Pd (anche se nessuno dei tre alleati presenta un profilo ideale), o comunque sono spinti a guardare con maggiore interesse al centro, uscito bombardato dall’ultima campagna elettorale. Forza Italia è partito moderato e centrista, sia pure in lento declino. La Lega è la formazione che raccoglie il mondo delle piccole e medie industrie del Centro-Nord e, con la battaglia sull’autonomia, al momento rappresenta l’avanguardia riformista del governo. La stessa Giorgia Meloni potrebbe aspirare a diventare un polo d’attrazione, con il suo progetto di un partito conservatore fermamente atlantista che, in tema di collocazione internazionale, apparirebbe più convincente degli alleati. Al momento, dunque, nessuno è escluso dalla partita politica che si sta per aprire ora, cioè la battaglia per il centro, l’entità più bistrattata della politica nazionale.

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