L’analisi di Goffredo Bettini comparsa su Repubblica del 15 gennaio ripropone il dialogo con i cattolici come fermento di un progetto politico che non si rassegni ad accettare l’attuale quadro economico e occupazionale: “…solo la sinistra e il cattolicesimo democratico insieme potranno suscitare nei democratici un nuovo pensiero ‘inappagato’ facendo fronte a quel cedimento di coscienza e ideale, che porta all’‘apologia’ delle cose come stanno”.
L’intento è lodevole e non è la prima volta che i cattolici si vedono rivolgere una manifestazione di interesse da parte della sinistra. Le ragioni non mancano e sono più che obiettive. Oggi, più che nel passato, emerge l’impoverimento complessivo della parte più modesta della popolazione. In quest’area si manifesta innanzitutto la resistenza di quanti cercano, con una più attenta spesa famigliare ma anche, quando questa non basta, con l’incremento delle entrate attraverso il doppio lavoro (come già affermava Luciano Gallino qualche anno fa), di assicurare quell’appartenenza ad una società del benessere sempre più irraggiungibile.
Accanto a questi, non è difficile vedere le condizioni miserevoli di quanti si trovano in una posizione ancora più modesta. La cosiddetta “area grigia” di quanti non sono “abbastanza poveri” per rientrare nei codici Isee ma anche così poco benestanti da poter riuscire ad assicurarsi l’indispensabile. Sono i nuovi poveri, spesso pensionati o giovani coppie con redditi precari e, a volte, derisori. Spesso è una povertà dignitosa, che non si fa vedere, non si mostra ma, al contrario, resta chiusa nel riserbo di una dignità degna d’altre epoche e cerca di riuscire ad assicurarsi l’indispensabile con redditi precari e pensioni minime.
Per non parlare delle aree dei nuovi lavori, poco o per nulla normate, o dei ricavi estremamente modesti di tante persone che sopravvivono lavorando in cooperative che, per mantenere gli appalti, riducono gli stipendi. In una parola, oggi più di ieri c’è una questione sociale sulla quale il dialogo tra cattolici e sinistra appare semplicemente naturale e di fatto spesso si verifica spontaneamente.
Ma c’è solo questo? Esiste cioè solamente la dicotomia economica per la quale, come assicura Goffredo Bettini, l’accettazione acritica del neoliberalismo fa da discriminante e quindi possiamo ridefinire e fare nostri i nuovi profili della dicotomia che divide gli italiani tra quanti riescono a mantenersi nella “società signorile di massa”, così come è stata definita da Luca Ricolfi, e quanti scivolano nell’area della marginalità sottopagata, in quello che un tempo veniva definito come “sottoproletariato”? Cioè tra un ceto medio che riesce a “galleggiare sulla crisi” come asserisce da anni Giuseppe De Rita, e un’area di impoverimento che si fa sempre più vasta e che, stando in fondo alla scala sociale, è ad un passo dal degrado?
C’è solo questa dicotomia o c’è anche altro? La domanda appare più che legittima.
Da molti anni la sinistra ha abbandonato in modo sempre più vistoso quest’area sociale per entusiasmarsi sui nuovi diritti. Da almeno due decenni le tematiche delle famiglie arcobaleno hanno occupato le prime fila dei dibattiti e delle controversie. Accanto a queste il tema dell’ambientalismo ha finito con il far passare una versione catastrofica del presente, ventilando la seria possibilità di un’apocalisse prossima ventura. Una minoranza assolutamente ristretta ma con un forte capitale culturale ed una forte presenza mediatica ha rivoluzionato l’agenda della sinistra introducendovi un nuovo ordine di priorità. Nuovi diritti, ambiente, e relative leggi da far passare in Parlamento per imporre tanto il riconoscimento dei primi quanto le nuove regole per salvaguardare il secondo sono oramai iscritti in agenda. E soprattutto si impongono con una totale mancanza di dibattito, fino a creare un nuovo maccartismo culturale, dove chi osa esprimere dubbi su l’una o l’altra di queste tematiche è destinato a scomparire dai radar.
Si tratta di problemi oltremodo noti, ma sono tutti più che reali e, soprattutto, sono tutti già scritti nelle agende della sinistra del “risveglio” americana ed europea. Così come sono problemi ben presenti nei corridoi di Bruxelles, dove i difensori dei temi ambientalisti e dei nuovi diritti sono da tempo la maggioranza.
Il terreno comune di dialogo tra sinistra e cattolici, una volta spostato su questo nuovo ordine di priorità, è molto meno automatico di quanto non si creda. E soprattutto, in tutti i problemi appena menzionati, il neoliberismo c’entra poco o nulla. Al contrario è proprio il neoliberismo ad avere tutti i vantaggi per seguire l’onda di una nuova ristrutturazione produttiva su scala globale, nella quale il litio assieme ad altri minerali pregiati avrà molto più valore per costruire le batterie per le auto elettriche di quanto non ne abbia il petrolio per alimentare gli oramai obsoleti motori a benzina o gasolio. In pratica la tematica del “riscaldamento globale” è quella salutata con maggiore gioia dall’establishment produttivo globale, che vi vede occasione di potenti innovazioni e nuovi guadagni.
Difficile, molto difficile, ricreare le condizioni per un dialogo con i cattolici, specialmente se vuole andare oltre le rappresentanze politiche, quando i problemi non sono più solo quelli dell’economia neoliberista, ma soprattutto quando sono proprio le asimmetrie indotte da quest’ultima a scivolare silenziosamente in una posizione subordinata rispetto all’ambiente ed ai nuovi diritti; come se la miseria di molti fosse un problema secondario rispetto ai nuovi arcobaleni dei quali si tinge costantemente il cielo.
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