Welcome to the jungle, verrebbe da dire. Niente più regole e riti, nessuna coerenza e visione comune. Solo lotta per sopravvivere. Se non fosse chiaro, il voto sul Mes ha tirato fuori la vera essenza del rapporto tra partiti a sinistra. O nel presunto campo largo. Che di largo ormai ha solo il buco attraverso cui scivola via ogni pensiero di cammino comune tra Elly e Giuseppi. Che si è sentito come un giaguaro preso nella rete del professor Prodi che aveva dato a Elly Schlein lo scettro delle federatrice e lui, l’avvocato dai mille volti, appena ha visto la falla nella rete con su scritto Mes ci si è infilato. Per marcare la distanza definitiva il più possibile e rendere incolmabile la distanza tra i suoi 5 Stelle e quelli del Pd. Obbligando i suoi a votare contro quello che avevano approvato in Europa. Ma la mossa era necessaria. Spezzare l’assedio dei pontieri della sinistra e mettersi sul versante opposto era l’unico modo per marcare la differenza e recuperare i voti anti-sistema che hanno fatto la fortuna dei grillini.
Non è una cosa fuori dal mondo. Solo chi non vuol vedere non si accorge di quanto l’operazione di aggancio ai 5 Stelle sia improponibile per il Pd. Non solo per i motivi noti, ovvero le posizioni diverse su politica estera, Europa ed economia, ma soprattutto perché Conte e i suoi non ne vogliono sapere di portare acqua al mulino di Schlein. Nonostante i larghi sorrisi che alcuni pentastellati rivolgono ai colleghi piddini a livello locale.
Ora quello che conta è l’imminente tornata europea e si deve marcare la differenza. Quindi, per Giuseppi addio ai burocrati di Bruxelles, alla maggioranza di governo con socialisti e popolari. I 5 Stelle vogliono correre per stare sopra il Pd. Elly Schlein sa che non ci riusciranno, ma sa anche che ora il tema di che fare del suo partito diventa un dramma. Chiusa a destra da Calenda e Renzi, che non le apriranno mai le porte dopo il trattamento che lei gli ha riservato, anche il lato più movimentista dei 5 Stelle appare chiuso. E senza ritorno. Perché non puoi pensare di creare una coalizione di governo nazionale con un partitino anti-Ue quando il Pd ha una sola certezza, ovvero di essere il più europeista tra i partiti italiani.
E quindi? Chi federerà Elly, se vuole adempiere all’incoronazione prodiana? La risposta è semplice. Nessuno. Perché nessuno vede in lei la leader che può portare a termine il percorso. La sua forza, ovvero il radicalismo sui temi sociali misti alla scelta senza se e senza ma per l’Europa e l’Occidente, le toglie ogni possibilità di accordo con forze politiche che si sentono espressione di un elettorato che non accetta di “subire” le scelte europee senza vederne i benefici. Il fatto di non riuscire a legare a sé chi è diverso, come Calenda o Conte, è un limite che Schlein ha e che ne segna il destino. O fa un risultato clamoroso in termini di consenso, alla Renzi o giù di lì, o se resta sul suo 18-20% rimane ai margini di tutto, non essendo sommabili alla destra i voti del Pd, come invece quelli dell’ex polo centrista o quelli populisti dei 5 Stelle.
Non è un caso infatti che in una settimana Calenda abbia votato con la maggioranza sulla giustizia e Conte abbia votato con la Meloni sul Mes. Il Pd mai ha aggregato. E non è un bene. Perché ancora si fa fatica a ricordare un solo tema che abbia messo d’accordo le opposizioni. Ora, se il Pd è il maggior partito anti-Meloni, come può non aver avuto neppure un’occasione di rivendicare un voto comune contro Giorgia?
La risposta è semplice. L’iniziativa politica del Pd attuale ha una nota di fondo arrogante e poco e conciliante. E questo fastidioso suono scatena gli istinti di sopravvivenza degli altri partiti, che si sentono non al sicuro e messi in discussione. Basta poco e si scatena una ordalia furiosa, con ciascuno che attacca l’altro. Di qui alla giungla il passo è breve. Nella giungla ogni essere pensa a se stesso e al proprio benessere, è convinto di avere tutte le ragioni di difendersi e mangiare gli altri per restare l’unico re della foresta. Non pace e concordia, ma guerra di tutti contro tutti.
Se non si comprende che il limite sta in chi guida il percorso, sarà complicato uscirne. Ovvero, se ne uscirà solo quando qualcuno, dopo la mattanza, prenderà in mano l’iniziativa e si metterà a trovare ciò che unisce rinunciando a qualcosa. Tipo la leadership. Al momento saranno solo scontri furibondi, lotte all’ultimo sangue per prendersi la corona, agguati e ruggiti. Con Schlein costretta a lottare per sopravvivere alla prima vera prova mortale da leader di partito. Uscire viva dalla giunga come vincitrice sarà la sua missione. Per federare chi sarà rimasto in piedi.
Cosa facile a farsi a quel punto, a patto di rivedere il sole nelle pianure e lasciarsi dietro il buio della foresta. Per ora è tempo di sopravvivere. E nella giungla non è detto sia semplice. Gli agguati possono arrivare da a ogni parte. Anche dal tuo branco.
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