C’è da chiedersi, forse anche con un pizzico di malizia, se un vecchio militante del Pci o un cattolico appartenente storicamente alla sinistra democristiana, quella che ha sempre visto la soluzione di tutti i problemi italiani nel catto-comunismo, possano dichiararsi soddisfatti della lunga riunione (10 o 12 ore) svoltasi giovedì nella direzione del Pd, cioè l’erede di quelle visioni politiche. Anche coloro che hanno votato Pd “turandosi il naso”( riprendendo così la noiosa parola d’ordine di Indro Montanelli per votare Dc) saranno probabilmente rimasti sorpresi dalla diagnosi della sconfitta, fatta in una direzione mastodontica e divisa da una serie di posizioni che non ricordano reali contrasti politici e culturali, ma piuttosto posizioni personali, aspiranti leadership collegate alla comunicazione di massa, che vengono scambiate per contrapposizioni ideali.
Il segretario uscente (ma con proroga, non si sa quanto lunga) Enrico Letta ha trovato la formula che dovrebbe essere galvanizzante: “Togliamoci tutti il doppiopetto” e riprendiamo la forza, il coraggio, la determinazione di stare all’opposizione.
Occorre dire che la cosiddetta “seconda repubblica” riserva sempre sorprese impensabili e sbalorditive.
Il partito, che ha cambiato bandiere e diversi nomi dopo la Caduta del Muro di Berlino, riesce a considerare finalmente che esiste anche la possibilità di andare all’opposizione e così rivede almeno parzialmente il suo ruolo di “pilastro” del decollo di questa immaginaria “seconda repubblica”, incompiuta da circa trenta anni.
Le sorprese sono tante e sempre da scoprire. Giovedì ad esempio si è vista una direzione che comprende, più o meno, circa duecento persone e che dovrebbe definire, decidere anche dopo duri contrasti le scelte di un partito. Ma la dimensione di una simile direzione è forse la formula innovativa del congresso nella cosiddetta “seconda repubblica”?
Anche da una simile riunione si comprende che i partiti in Italia hanno terminato la loro funzione. I partiti che esistevano fino al 1992 e che caratterizzano ancora le democrazie occidentali europee hanno direzioni snelle, con una decina o ventina di appartenenti, possibilmente in numero dispari, perché alla fine decidono e votano sulle scelte da fare.
Ci sono poi altre considerazioni da mettere sul tavolo. La funzione di una direzione a pochi giorni da una sconfitta elettorale bruciante deve fare una diagnosi il più possibile ampia e documentata sulle ragioni di questa sconfitta per poi confrontarsi con la base di partito. Ora si vorrebbe comprendere quale è la vera diagnosi. Ma non è affatto semplice. Si possono fare grandi sedute di auto-psicanalisi, si può parlare negativamente di colui che ha seminato “disinformazione nell’informazione”, Berlusconi, si può mettere sotto accusa il sovranismo e il populismo, si può parlare di tutto e di più, anche degli italiani, culturalmente arretrati, che seguono le mode in occasione del voto, oppure (si è sentito anche questo) che la colpa principale sia di Matteo Renzi. Ma la diagnosi sembra quella di un dottore sprovveduto.
La cosa più strana è che non si parta più dall’ analisi dagli errori propri, come si faceva un tempo nei partiti: come è possibile che ormai il Pd, in grandi città come Milano e Roma, e altre ancora, venga votato nelle zone centrali abitate dai benestanti e non venga più favorito nel ceto medio-basso delle periferie? Come è possibile che ci siano regioni che un tempo erano “zona rossa” (la Toscana) dove il Pd arretra? Come è possibile che un partito sopporti e non obietti con durezza che un Paese, in trenta anni, possa sopportare quattro governi tecnici come non capita in nessuna altra parte del mondo?
E ancora: come è possibile che tra le masse di lavoratori, fin dal 1992, il Pd non è più il rappresentante principale e subisca il sorpasso di altre forze politiche? Infine che tipo di rapporti esistono tra la linfa dei partiti di sinistra, cioè i sindacati diventati “territorio per i pensionati”, e questo Pd che appare come un ircocervo che non muta mai? Per i “nipotini” del catto-comunismo, le privatizzazioni sono state necessarie sin dal 1992 al posto dell’economia mista o addirittura non sembra ben accetto l’interventismo correttivo sul mercato come hanno sempre sostenuto i keynesiani. Per non parlare della tolleranza verso tutte le alchimie della finanza e del sistema bancario.
A questo punto, è possibile valutare anche un’altra ipotesi: quella che il Pd, orfano della ideologia che cementava il Muro di Berlino, dopo la sua caduta, si sia completamente slegato dalla realtà, dal grande cambiamento sociale in atto, dalle grandi trasformazioni in tutti i settori della vita pubblica, sociale e istituzionale. Le abbia subite passivamente, sia rimasto frastornato e non sia stato in grado di dare una risposta da sinistra. E in questo soprattutto abbia voluto deliberatamente manipolare la storia, così come un tempo condannava e non diceva che cosa pensava del riformismo e, di fatto, il vero riformismo non lo abbia mai conosciuto nella sua vera essenza politica e storica.
Nel momento in cui si è scollegati dalla realtà e si cerchi ripetutamente di non affrontare una seria autocritica (lunga decenni) si può cadere in una totale confusione di idee e di programmi. Visto il Pd in questi anni, in una politica italiana già disgregata da tempo, si pensa subito, metaforicamente, alle immagini di un partito “sull’orlo di una crisi di nervi”, per ricordare un famoso film di Pedro Almovodar.
Quello che ha veramente impressionato in questi giorni è stata non solo la sequenza dei discorsi contrastanti che uscivano dal partito, non solo dalla furibonda “rissa” sulle auto-candidature alla segreteria (magari si fa prima un congresso!), ma soprattutto ha stupito l’autentica orgia di interviste di “area”, diciamo così, che vedevano posizioni diversissime: Massimo D’Alema (non più iscritto) è diventato un alfiere del rapporto con il M5s, Bersani (non ancora rientrato) sfiorava l’argomento, la Bindi era per lo scioglimento, Veltroni era come al solito più speranzoso e vago. Un bilancio di questo dibattito di “area” ha scoperto un orizzonte di cose da fare che però si dovevano giù fare o addirittura dovevano essere già fatte.
L’immagine che è apparsa in queste giornate è quella non solo di una “crisi di nervi”, ma del rischio di nuova piccola scissione tra i continuatori di una cultura utopistica e sorpassata e una parte più consapevole e realisticamente legata a una finalmente auspicabile e autenticamente svolta riformista, anche aggiornata.
In realtà sono tante le contraddizioni all’interno del Pd. Se questo partito pensava di diventare il costruttore della cosiddetta “seconda repubblica”, di fatto ha rappresentato il panorama della complessiva distruzione della politica in Italia: e se gli altri partiti vaneggiano e ricorrono poi sempre ai tecnici, il Pd è lo specchio di questa realtà disgregata.
Sarà pure un caso, ma vale la pena di ricordarlo. Per un partito sedicente di sinistra come il Pd, è proprio utile che il suo segretario, Enrico Letta, bravissima persona, allievo di uomini come Andreatta e Prodi, vecchio democristiano, faccia parte della Trilateral, fondata il 23 giugno 1973 da David Rockfeller, e organizzazione non certo benvoluta dalla sinistra mondiale?
Forse la ricerca dell’anima di sinistra di questo Pd è veramente molto ma molto difficile.
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