La palmitoiletanolamide o Pea potrebbe essere il primo biomarcatore utile per la diagnosi della psicosi. L’intuizione, come riportato da Il Sole 24 Ore, arriva dagli esperti della Società di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf), riunitisi a Milano in occasione del XXV congresso nazionale che ha avuto come tema “Le neuroscienze del domani: la neuropsicofarmacologia verso la precisione e la personalizzazione delle cure”.



Gli studi realizzati finora in questo campo hanno evidenziato all’unisono che la Pea, contenuta anche in alcuni alimenti come uova, piselli, pomodori e soia, è fondamentale per il benessere del sistema nervoso centrale. È stato scoperto che essa aumenta nei pazienti con psicosi, per compensare le alterazioni connesse alla malattia, ma che questo incremento non viene mantenuto nel lungo periodo. La comunità scientifica vorrebbe di conseguenza che questa sostanza prodotta nell’organismo diventi in futuro un integratore completamente naturale per la cura dei diversi disturbi psichiatrici, associandosi alle consuete terapie per ridurre i sintomi psicotici e maniacali. Il tutto senza produrre effetti avversi gravi. In passato è stata utilizzata d’altronde già per i suoi effetti analgesici e antinfiammatori.



Pea è il primo biomarcatore per la diagnosi della psicosi? Il futuro integratore

La memoria, il dolore, l’umore, l’appetito e la risposta allo stress sono soltanto alcune funzioni essenziali in cui la Pea è attiva. “Il sistema degli endocannabinoidi è coinvolto, assieme al sistema infiammatorio, nello sviluppo di vari disturbi psichiatrici e in particolare della psicosi. La neuropsicofarmacologia di precisione oggi mira perciò a individuare sostanze che modulino proprio il sistema endocannabinoide e che possano rivelarsi più tollerabili dei farmaci attualmente disponibili”, ha spiegato Matteo Balestrieri, direttore della Clinica Psichiatrica dell’Azienda Sanitaria Universitaria di Udine, Co-Presidente Sinpf e autore delle due recenti revisioni degli studi sul tema.



“La palmitoiletanolamide si sta mostrando un candidato interessante: non è un endocannabinoide , non si lega ai recettori per gli endocannabinoidi ma influenza il sistema con il cosiddetto ‘effetto entourage’, potenzia cioè l’azione degli endocannabinoidi naturali, aumentandone i livelli (o riducendone la degradazione), ed è perciò in grado di avere effetti sulle funzioni regolate dagli endocannabinoidi come la risposta al dolore o la comparsa di sintomi della psicosi”, ha concluso l’esperto.