I religiosi hanno l’obbligo morale di denunciare casi di pedofilia alle autorità civili, non solo a quelle ecclesiastiche. Dopo il Motu Proprio del Papa, arrivano le Linee guida approvate dalla Cei sulla tutela dei minori. Lo ha annunciato monsignor Lorenzo Ghizzoni, responsabile della Commissione Cei per la tutela dei minori, spiegando che si tratta di «un grande passo in avanti». La novità è stata presentata durante i lavori della 73esima assemblea generale della Cei. Nel comunicato finale sono esplicati i principi base: si parla di «collaborazione con l’autorità civile nella ricerca della verità e nel ristabilimento della giustizia». Come ha spiegato monsignor Ghizzoni, la collaborazione con l’autorità civile si traduce nell’obbligo di denuncia se, dopo un’indagine previa, si conferma una “verosimiglianza” delle accuse di pedofilia. Al centro del «rinnovamento ecclesiale» deve esserci «la cura e la protezione dei più piccoli e vulnerabili come valori supremi da tutelare, punto di riferimento imprescindibile e criterio dirimente di scelta. L’ascolto delle vittime e la loro presa in carico».



PEDOFILIA, CEI: OBBLIGO DENUNCIA AD AUTORITÀ CIVILI

Nelle Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili si parla di altri principi, come «l’impegno per sviluppare nelle comunità una cultura della protezione dei minori, di cui è parte la formazione degli operatori pastorali». Ma la lotta alla pedofilia nella Chiesa non è cominciata ora: già nel 2010 papa Benedetto XVI aveva raddoppiato i tempi di prescrizione degli abusi sui ragazzi, portandoli da 10 a 20 anni da quando il minore diventa maggiorenne. Papa Francesco ha ripreso e rafforzato le iniziative del predecessore: con il Motu Proprio “Vos estasi lux mundi” il Pontefice ha stabilito un principio finora mai imposto, cioè l’obbligo di denuncia di violenze. Questo vuol dire che tutti i religiosi devono «segnalare tempestivamente» all’autorità ecclesiastica tutte le notizie di abusi di cui vengano a conoscenza come pure le eventuali omissioni e coperture nella gestione dei casi di abusi. E se vescovi e superiori religiosi dovessero “coprire” i colpevoli, saranno considerati colpevoli a loro volta.

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