Femminista, cattolica, attivista, spesso controcorrente: Lucetta Scaraffia è tutto questo e non di rado affronta tematiche tutt’altro che banali, come quella presentata oggi su “La Stampa” in merito al “rapporto” tra Chiesa e abusi sessuali. Dopo l’ultimo caso di prete accusato di pedofilia a Milano (qui la vicenda di Don Tempesta, ndr), la scrittrice prende una dura posizione nel suo editoriale sul quotidiano torinese attaccando non poco il diritto canonico della Santa Sede.



Oltre a accusare i media di non parlare quasi mai degli abusi di preti/religiosi – ci sentiamo però di dissentire su questo, visto che il tema della pedofilia ormai viene automaticamente collegato agli uomini di Chiesa con processi mediatici spesso già conclusi prima ancora di poter appurare la verità – Scaraffia parte dal diritto canonico per contestare i pochi passi avanti svolti in questi anni: «il diritto della Chiesa concepisce il problema dell’abuso sessuale solo dal punto di vista del colpevole e unicamente come atto contro il sesto comandamento». Insomma, sostiene l’attivista, il peccato in quanto tale viene considerato nella sua concretezza dell’atto, «ma non si arriva mai a giudicarlo a partire dalle sue conseguenze su altri».



LA PEDOFILIA E IL PECCATO

Sempre secondo Lucetta Scaraffia, i reati sessuali nella Chiesa vengono genericamente assimilati come masturbazione, convivenza, contraccezione, relazioni LGBT e violenze, tutti in contrasto al sesto comandamento: la scrittrice sostiene che non si dovrebbe avere un piano omologante in tal senso, eppure ciò avviene poiché «deriva da questa modalità di valutazione indifferente nei confronti dei danni inferti alle vittime». Scaraffia considera la Chiesa ancora in ritardo, nonostante gli ampi sforzi per contrastare il morbo della pedofilia dal Papato di Benedetto XVI in poi: quello che nel mondo laico ha visto l’evolversi e il cambiare delle stesse leggi, su spinta dei movimenti femministi, ancora mancherebbe nel mondo ecclesiale. La Cei ha prodotto le Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, ma per l’editorialista de “La Stampa” sono ancora vaghe e poco convincenti: non hanno valore giuridico vincolante (per la non maggioranza trovata nell’assemblea Cei) e infine «riguarda solo la prevenzione, ascolto e accoglienza», ma senza «ricorso alla giustizia civile».

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