L’ultima visita ufficiale di un rappresentante degli Stati Uniti a Taiwan risale al 1997, quando vi si recò l’allora speaker della Camera Newt Gingrich. Allora però la Cina non aveva dichiarato chiare intenzioni di riportare l’isola sotto l’autorità di Pechino se non a livello propagandistico, come sta facendo da qualche tempo a questa parte, aggiungendo però anche la minaccia della forza militare. Con la programmazione di una visita dell’attuale speaker della Camera Nancy Pelosi, nell’ambito di un viaggio in Asia, si è aperta una crisi internazionale che sta mettendo in imbarazzo la stessa amministrazione Biden, soprattutto il suo apparato militare, che teme reazioni di forza da parte cinese.
“È evidente che una visita di Nancy Pelosi, data la sua importanza all’interno del Partito democratico oggi al governo, per la Cina rappresenterebbe una offesa imperdonabile” ci ha detto il generale Giorgio Battisti, già comandante del corpo d’armata di reazione rapida della Nato in Italia e capo di stato maggiore della missione Isaf in Afghanistan “in un quadro che vede Pechino sempre più decisa a riportare Taiwan all’interno della propria autorità”.
L’annunciata visita di Nancy Pelosi sta mettendo in difficoltà l’amministrazione americana. Pechino ha minacciato pubblicamente e privatamente “misure forti” se la visita si dovesse davvero fare. Taipei ha commentato che “se la visita viene annullata, significa che le tattiche intimidatorie della Cina funzionano”. Che cosa sta succedendo?
È in corso un braccio di ferro che si trascina dai tempi di Trump quando ogni nave militare americana che attraversava lo stretto di Taiwan, che la Cina considera acque territoriali, portava a reazioni e a minacce di intervento militare. Adesso la reazione è ancora più decisa. Nancy Pelosi è l’esponente politico forte del Partito democratico, dotata di forte determinazione, e una sua visita rappresenterebbe una visita ufficiale del governo americano in un momento storico in cui Xi Jinping tutti i giorni rivendica Taiwan come parte dello Stato cinese. Sarebbe un’offesa che potrebbe portare a reazioni pesanti.
La Casa Bianca starebbe cercando di valutare se la Cina stia facendo minacce serie o se stia conducendo una manovra di disturbo per fare pressioni affinché la visita venga annullata. Secondo lei?
La Cina non parla a vanvera, più di una volta hanno dichiarato che entro il 2049, centenario della presa del potere del Partito comunista, Taiwan tornerà a essere parte della nazione.
Il direttore della Cia si dice convinto che magari non adesso, ma prima o poi Pechino attaccherà. Dice anche che i cinesi osservano attentamente la guerra in Ucraina, dove, secondo loro, la Russia avrebbe fatto l’errore di intervenire con forze militari non adeguate.
Indubbiamente la Cina sta osservando quello che succede in Ucraina su diversi livelli, partirei però da prima dell’attacco del 24 febbraio.
Ci dica.
Bisogna partire dal disastroso e disonorevole ritiro occidentale dall’Afghanistan, che secondo me ha dato a Putin l’idea che in caso di aggressione all’Ucraina l’America non sarebbe intervenuta militarmente, cosa che è stata confermata dai fatti. Anche la Cina ha visto confermato il non intervento militare sia in Afghanistan che in Ucraina, avendo così ottenuto la valutazione che l’Occidente, in caso di attacco a Taiwan, non reagirà militarmente.
Questo sul piano strategico e politico. Su quello militare?
La Cina, secondo quanto dicono molti analisti, sta studiando le difficoltà russe in Ucraina, prendendo le opportune contromisure militari.
Taiwan non è però l’Ucraina, anche perché tra Cina e Taiwan c’è di mezzo il mare.
Anche Taiwan sta facendo tesoro di quello che succede in Ucraina. Si erano equipaggiati dotandosi di assetti di carattere strategico come missili a lunga gittata, aviazione militare capace di contrastare sul canale, però adesso si stanno riorganizzando per dotarsi di armamenti che possano consentire di imporre un forte tasso di perdite e logoramento alle forze cinesi.
Sì, ma sbarcare a Taiwan sarebbe un’operazione militare colossale, non crede?
Sono stato diverse volte a Taiwan: la parte dell’isola che guarda alla Cina è una parte pianeggiante e fortemente urbanizzata che si presta a una resistenza forte. Le forze di aggressione avrebbero poco spazio di manovra, dovrebbero muoversi tra villaggi e città dove i difensori, come succede in Ucraina, avrebbero buon gioco a fermare soprattutto i mezzi corazzati.
L’azione di partire dalle coste cinesi e attraversare lo stretto non passerebbe inosservata, no?
Se guardiamo agli ultimi mesi, la Cina settimanalmente manda propri velivoli militari a violare lo spazio aereo di Taiwan. Sta organizzando una nuova forza militare: portaerei, navi con grandi capacità anfibie per lo sbarco. Sta poi facendo diverse esercitazioni di carattere sempre anfibio. Oltre a tenere in stato di allarme le difese di Taiwan, questo suggerisce una strategia precisa. Senza soluzione di continuità possono passare da una esercitazione a un attacco militare. Potrebbero, se non coglierla di sorpresa, costringere Taipei a ridurre i tempi in cui attivare un intervento di fuoco di difesa. La partita poi si giocherà sul territorio. Dobbiamo poi chiederci quanto gli abitanti di Taiwan siano intenzionati a difendere la propria indipendenza o se preferiscano passare sotto il controllo di Pechino. In ogni caso l’esercito di Taiwan è addestrato molto bene e preparatissimo a combattere.
(Paolo Vites)
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