In Iran le condanne a morte sono aumentate del 75%. Un dato sconvolgente rivelato dal Rapporto sulla pena di morte in Iran a cura di Iran Human Rights e Ensemble Contre la Peine de Mort. Questo incrementi preoccupante è riferito all’anno 2022, che ha visto lo scoppio delle rivolte in seguito alla morte di Mahsa Amini il 16 settembre scorso. Un anno con almeno 582 esecuzioni registrate, un numero che secondo Nessuno tocchi Caino è invece ancora superiore, pari a 642 condanne a morte.



Il report denuncia che a dicembre 2022 due manifestanti sono stati impiccati e uno è stato fatto penzolare in una piazza pubblica, il suo cadavere usato come monito. Tra novembre e dicembre, le esecuzioni di manifestanti sono state almeno 127, cioè più di due condanne a morte al giorno. Come analizza Il Riformista, in Iran sono più di cento i manifestanti che corrono il rischio di esecuzione, mentre le condanne a morte sono già state pronunciate per altre venti persone, sebbene in via non ancora definitiva. In Iran, secondo il report il regime ha dichiarato appena l’1% delle condanne a morte per droga e il 12% di tutte le altre. E le principali vittime sono state le minoranze etniche.



Condanne a morte in Iran, tra assenza di processi e confessioni estorte con la tortura

In Iran, le minoranze etniche pagano il prezzo più alto della repressione. Come si legge nel report curato da Iran Human Rights e Ensemble Contre la Peine de Mort, i giustiziati baluci costituiscono il 30% del totale delle condanne a morte, eppure questa etnia rappresenta circa il 4% della popolazione iraniana. Ma non solo, perché il 44% delle persone impiccate nel 2022 e quasi metà di quelle giustiziate dall’inizio delle proteste sono state ufficialmente condannate a morte per reati legati alla droga. Un fatto che però non ha scosso l’Ufficio per la droga e il crimine delle Nazioni Unite.



Nel Paese, le Corti rivoluzionarie istituite 44 anni fa continuano a elargire condanne a morte senza un giusto processo preliminare. Spesso le confessioni dei “colpevoli” sono ottenute ricorrendo alla tortura e in generale alla sistematica negazione del diritto alla difesa. Come sottolinea Il Riformista, l’Iran sta inoltre proseguendo la sua politica di catturare cittadini stranieri – tra gli ultimi, il cittadino svedese iraniano Habib Asyoud e il tedesco iraniano Jamshid Sharmahd – per servirsene come strumento di ricatto, minacciando le loro condanne a morte.