Con un’ordinanza di febbraio, il tribunale di Vincenza ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in merito ad un articolo del Testo unico sull’immigrazione, in particolare l’art. 5 comma 8 bis che si occupa del permesso di soggiorno. Con questo si determina che chi viene accusato di contraffazione o alterazione del visto di ingresso o della carta di soggiorno rischia una condanna da uno a sei anni di carcere, pena che può salire da 3 a 10 anni e che viene incrementata ulteriormente se il fatto viene commesso da pubblico ufficiale. Nell’ordinanza riportata da Giurisprudenza Penale, il tribunale di Vicenza spiega che è “rilevante e non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale” nella parte in cui non si prevedono sanzioni differenziate, come la riduzione di un terzo della pena per l’alterazione dei documenti, come ad esempio viene indicato nell’articolo 489 del codice penale.



Per il giudice dell’udienza preliminare Venditti, ciò si pone in contrasto col principio di uguaglianza-ragionevolezza stabilito dall’articolo 3 della Costituzione e con il principio di proporzionalità della sanzione penale, in riferimento all’articolo 27 della stessa Carta. Queste le ragioni per cui ha deciso di sospendere il giudizio e di disporre il trasferimento degli atti alla Corte costituzionale, ordinando anche la notifica di questa ordinanza alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e ai presidenti di Camera e Senato.



IL CASO PER IL QUALE È STATA SOLLEVATA LA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE

La fattispecie riguarda un imputato che per ottenere il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, aveva inviato all’ufficio immigrazione della Questura di Vicenza un certificato di conoscenza della lingua italiana che attestava un livello A2 CELI li che gli sarebbe stato dato dall’Università di Perugia, ma che in realtà è risultato contraffatto. Va precisato che la questione di legittimità costituzionale era già emersa nel corso dell’udienza del febbraio 2022 ed è stata comunque richiamata e rimarcata dal difensore in quella preliminare preliminare di gennaio 2024.



Per la difesa, prima che l’assistito venga giudicato, è necessario che il giudice delle leggi risolva questo dubbio di costituzionalità, ritenendo “irragionevole” l’uniformità sanzionatoria di condotte diverse e richiamando anche il principio di proporzione della pena. Una richiesta che è stata appunto accolta dal gup del tribunale di Vicenza, che ha trasmesso gli atti alla Consulta.