Roberto Pennisi è stato un uomo chiave nell’inchiesta della Procura nazionale antimafia, nella quale ricopriva il ruolo di Pubblico Ministero, nominata Aemilia e che mirava a scovare le infiltrazioni della ‘ndrangheta tra Reggio Emilia e Modena, e più in generale in tutta l’Emilia Romagna. Un’inchiesta che, seppur riuscì effettivamente nell’intento di cacciare la mafia calabrese, non portò ad alcuna condanna, con delle indagini che si conclusero con due nomi, poi assolti in tribunale.
Quell’inchiesta Pennisi se la ricorda perfettamente, e soprattutto si ricorda dell’informativa firmata dai servizi segreti italiani, sulla quale chieste di aprire un’inchiesta, che indicava nomi e cognomi di alcuni politici che potevano avere rapporti con la mafia calabrese. Gli elementi per approfondire l’indagine, magari arrivando a delle condanne, c’erano tutti, “ma è stato scelto di non farlo. Forse per motivi di opportunità”, spiega oggi Roberto Pennisi in un’intervista rilasciata per il quotidiano italiano Il Giornale. Parlando dell’informativa degli 007, racconta che “di spunti ce n’erano tanti, con nomi e cognomi”, dai quali sarebbe partito per l’inchiesta, che tuttavia fu bloccata.
Pennisi e i rapporti tra politica e ‘ndrangheta
Parlando dell’inchiesta che avrebbe tanto desiderato guidare, Roberto Pennisi racconta che tra qui nomi, indicati dagli 007 italiani, c’era quello di Maria Sergio, all’epoca capo del servizio pianificazione comunale di Reggio Emilia, e Luca Vecchi, suo marito ma anche capogruppo del consiglio comunale di Reggio ed oggi sindaco, “quest’ultimo personaggio in forte ascesa all’interno delle fila del Partito democratico di questa provincia”.
Nell’indagine, però, spiega ancora Pennisi, vennero indicati solamente i nomi di Giovanni Paolo Bernini e Giuseppe Pagliani, entrambi esponenti del centrodestra, poi assolti in sede giudiziaria. “Secondo me nei confronti di Bernini non c’erano gli elementi per chiedere la custodia in carcere. Lo scrissi”, ma non servì a nulla. Da approfondire c’erano parecchi aspetti ed “alla fine dell’inchiesta non c’è stato un solo politico condannato”. Secondo Pennisi, “andava stralciata l’indagine, approfondita la posizione di altri indagati o indagabili per concorso esterno in associazione mafiosa, invece non si fece nulla”. Circostanza particolare, ricorda il Giornale, è che i servizi segreti avevano indicato il coinvolgimento di “vari esponenti del Partito democratico reggiano”, in un periodo in cui lo stesso PD era al governo.