Non è demagogia, è vero che purtroppo molti assegni delle pensioni in Italia sono basse e con cifre difficili da sostentare i cittadini dopo l’uscita dal lavoro: però il contenuto della riflessione offerta da Alberto Brambilla – presidente di Itinerari Previdenziali – al Corriere della Sera prova a fare un passo oltre spiegando nel dettaglio alcuni numeri che altrimenti potrebbero dare adito a polemiche e contestazioni futili. Il recente 7° Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano redatto dal Centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali ha analizzato i bilanci degli enti previdenziali commentando gli ultimi dati Istat sul tema pensioni: le questioni affrontate partono da alcuni “sunti” dei dati aggiornati, come «il 36,3% dei pensionati italiani può contare su un assegno al di sotto dei mille euro lordi, il 12,2% non supera i 500 euro. Un pensionato su quattro (24,7%) si colloca, invece, nella fascia di reddito superiore ai 2.000 euro lordi» ed altri ancora. Scrive Brambilla «Sono affermazioni che vanno spiegate e inserite nel giusto contesto per non fomentare rabbia (a volte ingiustificata e vedremo perché), senso di sfiducia nei giovani (se le pensioni sono così basse oggi, perché dobbiamo versare i contributi quando a noi la rendita non la daranno mai!) e spinta a lavorare in nero. Tanto la pensione è bassa e comunque fino a circa 500 euro al mese ci pensa lo Stato: perché versare?».



PENSIONI BASSE? CAUSE E NUMERI SPIEGATI

Ad esempio, uno dei risultati affrontati da Brambilla guarda all’opposto della “demagogia” consueta sul tema pensionistico: «Su 16 milioni di pensionati circa la metà è totalmente o parzialmente assistita dallo Stato quindi da tutti noi attraverso le tasse che paghiamo. Circa 800 mila pensionati (il 5,12%) usufruiscono della pensione o assegno sociale». Questo significa che per questa fetta di popolazione di fatto fino a 66 anni sono come stati “sconosciuti” al fisco perché non hanno mai pagato né i contributi sociali e neanche le imposte dirette. Entrando in pensione hanno iniziato a richiedere l’assegno mensile in assenza di redditi e secondo la legge dello Stato la risposta è stata automatica: commenta ancora Brambilla «Uno Stato di diritto aiuta i più deboli, ma in altri Paesi europei dopo una certa età (33/36 anni) si chiede al soggetto sconosciuto di che cosa vive, prendendo i relativi provvedimenti come succede in Svizzera e Germania». In Italia però questo non succede e tra l’altro non viene richiesta a questa fascia niente più di un documento Isee. Per il Centro Itinerari Previdenziali, un altro problema riguarda l’integrazione al minimo: circa 2,9 milioni di pensionati, ovvero il 18,2%, beneficiano dell’integrazione al minimo di 513 euro al mese. Il che significa che questi ex lavoratori sono stati «parzialmente sconosciuti al fisco in quanto in 67 anni di vita non sono riusciti nemmeno a versare 15/17 anni di contribuzione». Un ultimo “invito” fatto da Brambilla per l’Istat riguarda un altro dato assai importante: «L ’Istat dovrebbe anche spiegare ai cittadini che per circa 8 milioni di pensionati su 16 milioni non ci sono pensioni ma benefici assistenziali sui quali non gravano imposte. L’Irpef, circa 50 miliardi, grava sul 40% di pensionati che prendono più di 1.200 euro al mese e soprattutto su quel 24,7% di ex lavoratori con prestazioni da 2 mila euro in su; cioè sulle pensioni vere, pagate con contributi e tasse da chi le percepisce».

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