La Gestione separata, istituita dalla legge Dini-Treu del 1995 è rimasta l’unico salvadanaio di una certa rilevanza nel bilancio unitario dell’Inps (di cui confermiamo, come tante altre volte, la ricchezza di dati e delle statistiche, ma lamentiamo la grande difficoltà a reperire in modo chiaro e diretto i rendiconti in particolare suddivisi per gestione). I motivi degli avanzi di esercizio della Gestione separata sono noti. Operativa dal 1° giugno del 1996, in regime contributivo, si trova ancora in una fase in cui i contributi versati sono in misura maggiore delle prestazioni erogate, peraltro penalizzate, per diversi anni, da aliquote contributive piuttosto basse (si iniziò col 10%). La gran parte delle prestazioni erogate sono seconde o terze pensioni di cui godono soggetti che hanno altrove una gestione principale, ma che per i redditi percepiti in cambio di ulteriori funzioni che svolgono (si pensi agli amministratori) devono versare la relativa contribuzione anche alla Gestione separata. Poi molto spesso l’iscrizione, in termini esclusivi, a questa gestione appartiene a un periodo dell’attività lavorativa, ma l’iscrizione alla Gestione Separata, una volta avvenuta, rimane aperta anche in assenza di versamenti. 



Vi appartengono categorie – si pensi alle professioni non ordinistiche – che ne fanno parte in modo permanente. Di solito le loro associazioni lamentano che l’iscrizione alla Gestione separata è più onerosa di quella alle Casse dei liberi professionisti che erogano servizi e prestazioni equipollenti alle loro. Come se non si rendessero conto che a un’aliquota contributiva più adeguata (ora quella di chi è iscritto in via esclusiva è pari al 25%), nel sistema contributivo, corrisponde un montante in grado di garantire un trattamento migliore. 



Quando si passa all’esame delle caratteristiche degli iscritti si ha l’impressione di trovarsi al cospetto di una Legione Straniera; ma a pensarci bene emerge la visione del lavoro che padroneggia in Italia: da una parte c’è il lavoro standard, dipendente e autonomo ciascuno nel suo fondo “storico”. Tutti gli altri sono parcheggiati – oves et boves et omnia pecora campi – nella Gestione separata come in un Limbo. Lo ammette lo stesso Rapporto quando scrive che “la riforma previdenziale del 1995 ha costruito questo Fondo per inserirvi tutti coloro che non avevano un’altra ‘casa’ previdenziale ‘naturale’ (pubblica) perché il regime precedente – il welfare categoriale di impianto fordista – non li aveva nemmeno visti o comunque non considerati”. E aggiunge: “I lavoratori afferenti alla ‘Gestione Separata’ sono un gruppo molto eterogeneo, con livelli di professionalità e attachment al lavoro estremamente diversificati: la ‘Gestione separata’ è un contenitore indifferenziato dove troviamo un mix di collocazioni marginali, nuove professionalità, indipendenti effettivi, figure senza soverchio bisogno di tutele (amministratori di grandi aziende), giovani a cavallo o in transizione tra formazione e lavoro (dottorati, medici specializzandi), mestieri molto tradizionali (venditori porta a porta)”. 



Gli iscritti attivi alla Gestione Separata hanno superato 1,4 milioni nel 2021, con una crescita significativa, pari a circa 80mila unità, rispetto al biennio precedente. Per “attivo” si intende un iscritto con almeno un versamento contributivo nel corso dell’anno. Si distinguono due grandi gruppi, divisi dall’operare o meno con partita Iva: a) liberi professionisti con partita Iva: sono i liberi professionisti che non hanno una Cassa previdenziale di riferimento, si tratta quindi di ambiti professionali relativamente nuovi, non riconducibili alle professioni “storiche” (avvocati, notai, geometri, ingegneri, ecc.) organizzate in Ordini professionali con propria Cassa previdenziale. Per il 2021 la stima è di 435.000 iscritti; ma si tratta di un valore in costante crescita; b) gli iscritti senza partita Iva: nel 2021 sono giunti a sfiorare un milione di unità, evidenziando una crescita robusta dopo il modesto ripiegamento registrato nel 2020. 

Tra essi possiamo distinguere, operando le opportune riclassificazioni, quattro gruppi: b1) gli “amministratori” sono il gruppo più numeroso (circa il 57% degli iscritti senza partita Iva). Nel 2021 sono intensamente cresciuti arrivando a 573mila iscritti. Comprendono il vasto mondo degli incarichi aziendali, soprattutto nelle società di capitali e nelle società a responsabilità limitata: amministratori unici, sindaci, revisori dei conti, ecc. Sono in gran parte maschi (in età centrale o senior), quasi esclusivamente italiani. Per una parte significativa, si tratta dell’impegno professionale esclusivo (239mila) o principale (172mila); spesso sono veri e propri imprenditori. Per una quota altrettanto significativa si tratta di impegni secondari (28%) con attività principale nell’ambito del lavoro autonomo o, più raramente, in quello di dipendente. Nell’assoluta maggioranza dei casi (91%) lavorano (nell’anno osservato) per un’unica azienda; b2) i “collaboratori” in senso stretto è il gruppo che era stato dimezzato dal Jobs Act (nel 2014 aveva una consistenza di 530mila unità); nel 2020 la pandemia ne ha provocato un ulteriore ridimensionamento, poi integralmente recuperato nel 2021 quando hanno raggiunto la consistenza di 276mila unità, di poco superiore al valore del 2019. Sono incluse le fattispecie più note, spesso identificate come il parasubordinato tout-court: collaborazioni coordinate e continuative, collaborazioni a progetto, collaborazioni presso le Amministrazioni pubbliche. Prevale la componente femminile (57%) e adulta (tra i 30 e 54 anni: 51%). Per alcune tipologie di lavoratori di questo gruppo è appropriata la definizione di “parasubordinato”: una condizione di mezzo, a volte effettiva a volte ambigua, tra autonomia e dipendenza. Il parasubordinato non ha cittadinanza nelle statistiche ufficiali, che prevedono solo due modalità: dipendente o indipendente. In genere si tratta di collocazioni esclusive o principali, ma è consistente anche la quota di posizioni secondarie (31%), quasi sempre di soggetti principalmente impiegati con rapporti di lavoro dipendente. Nel 91% dei casi si tratta di monocommittenti, ovvero di soggetti che prestano la loro opera per un solo committente. b3) i soggetti in formazione post laurea: sono 114mila nel 2021, in forte aumento rispetto al biennio precedente soprattutto per l’allargamento del numero di medici specializzandi, passati da 32mila nel 2020 a 51mila nel 2021; anche per i dottorandi e borsisti si è registrato un incremento: sono passati da 56mila a 63mila. Si tratta di figure impegnate in attività in cui il confine tra formazione e lavoro è indefinito: non sono titolari di un vero e proprio rapporto di lavoro ma sono destinatarie di uno specifico regime di tutele previdenziali (pensionistiche e non) che, di fatto, li assimila a lavoratori dipendenti. A prevalere è la componente femminile e, ovviamente, si tratta di giovani, ventenni e trentenni soprattutto. b4) un gruppo residuale di altre tipologie: nel 2021 contava 34mila iscritti; si tratta soprattutto di venditori porta a porta (16mila) e lavoratori autonomi occasionali (10mila) mentre si è ormai esaurita la figura degli associati in partecipazione (erano 84mila nel 2014, sono 2mila nel 2021).

I redditi medi annui degli iscritti senza partita Iva alla gestione separata risultano pari a 37.700 euro nel 2021, in crescita dell’1,6% rispetto all’anno precedente. I redditi, per motivi comprensibili, risultano sempre più elevati per coloro che hanno anche altre attività rispetto agli “esclusivi”. Gli assegnisti sono tenuti alla contribuzione alla Gestione Separata dal 1998 (l. 449/1997) e i dottorandi con borsa di studio dal 1999 (l. 315/1998). I medici in formazione specialistica sono stati assoggettati alla contribuzione alla Gestione Separata a partire dal 2006. Essi hanno comunque anche un’altra assicurazione previdenziale in quanto iscritti all’Ordine professionale. I redditi più elevati sono quelli degli amministratori (52.107 euro), che registrano un incremento del 2,9% rispetto al 2020. In crescita risulta anche il reddito dei collaboratori (+6,1%). La variazione negativa del reddito di coloro che risultano in formazione post laurea è un effetto dovuto all’incremento del numero di nuovi ingressi, e quindi di periodi di iscrizione di durata infra-annuale. 

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