Da almeno un decennio si è sviluppata in sordina una linea interpretativa dei giudici di Cassazione che ha ridimensionato le possibilità dei lavoratori di tutelarsi rispetto a eventuali omissioni contributive da parte del datore di lavoro, salvo che con i rimedi risarcitori.
Quella linea è stata avviata con l’asserita inapplicabilità – peraltro negata dalla prassi dell’Inps -, per i periodi contributivi posteriori al 1° gennaio 1996, della norma che sancisce l’allungamento fino a dieci anni del termine di prescrizione dell’obbligo contributivo, in caso di denuncia da parte del lavoratore dipendente all’Inps (art. 3, comma 9, lett. a), l. n. 335 del 1995), interpretata dalla Corte come norma transitoria. Ed è poi proseguita, tra l’altro, negando sia l’applicazione dell’automaticità delle prestazioni in favore dei lavoratori autonomi coordinati e continuativi, sia la responsabilità dell’ente previdenziale che abbia lasciato prescrivere le omissioni contributive delle quali abbia avuto conoscenza tramite denuncia del lavoratore, provocandogli un danno pensionistico.
<Ora, con l’ordinanza n. 13299 del 2024, la Corte sembra voler cambiare direzione e accrescere le possibilità di tutela per il lavoratore. L’ordinanza, infatti, chiede di portare alle Sezioni Unite la questione della prescrizione dell’azione che l’art. 13, l. n. 1338/1962 riconosce al datore di lavoro e al lavoratore di costituire presso l’Inps una riserva matematica corrispondente al danno pensionistico subito. Secondo l’orientamento attualmente prevalente, tale azione si prescrive nel termine di 10 anni decorrenti dalla prescrizione dei contributi previdenziali, ma in tempi più risalenti ne era stata affermata l’imprescrittibilità.
L’ordinanza ripropone quest’ultima posizione, sostanzialmente osservando che la costituzione della rendita vitalizia è a “costo zero” per l’ente previdenziale. L’onere economico, infatti, grava per intero sul datore di lavoro, qualora sia questi ad attivarsi, ipotesi, in realtà, poco frequente, oppure, come di norma accade, sul lavoratore.
La proposta è condivisibile, anche se al momento non è dato sapere quale ne sarà la sorte. Al contempo, essa desta più d’una perplessità sull’effettività della maggior tutela cui aprirebbe e, più in generale, sulla linea “politica” che persegue.
Quanto al primo aspetto, va detto che alla costituzione della rendita vitalizia fanno ricorso soprattutto i coadiutori familiari dei lavoratori automi del settore agricolo, per i quali vigono regole di calcolo più favorevoli rispetto agli altri settori e, forse, anche perché l’onere economico può essere in parte condiviso con quei lavoratori, proprio in considerazione del vincolo familiare. Se così è, l’allungamento dei tempi di esercizio dell’azione rischia di produrre un effetto “perverso” e nascosto di accrescere le differenze tra lavoratori.
Quanto al secondo aspetto, il fatto che il costo della tutela resti comunque sulle spalle dei lavoratori, anche ove l’inazione dell’ente abbia portato alla perdita definitiva della contribuzione, rivela come la preoccupazione sia il contenimento delle spese previdenziali a scapito della garanzia costituzionale.
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