L’assegno della pensione di inabilità per gli invalidi civili totali va triplicato ed erogato a partire dai 18 anni. Lo sostiene la Corte Costituzionale in una sentenza di cui sono state pubblicate anche le motivazioni. Secondo la Consulta, l’importo attuale di 286 euro delle pensioni di invalidità sarebbe troppo basso per vivere in maniera dignitosa. Per questo, allora bisogna rivedere l’assegno e incrementarlo. La sentenza numero 152 è destinata a far discutere, in quanto nell’articolo 38 comma 4 della legge numero 448 del 2001, in cui si stabilisce che i benefici incrementativi siano concessi a partire dai 60 anni di età, è ritenuto illegittimo. La Corte Costituzionale riconosce l’aumento già dai 18 anni, quindi non si deve attendere il compimento del 60esimo anno di età. Questo secondo un principio molto semplice: «Le minorazioni fisio-psichiche, tali da importare un’invalidità totale, non sono diverse nella fase anagrafica compresa tra i 18 anni e i 59, rispetto alla fase che consegue al raggiungimento del sessantesimo anno di età».



PENSIONI INVALIDITÀ, CONSULTA “ASSEGNO VA TRIPLICATO”

La Corte Costituzionale chiarisce, dunque, un concetto che effettivamente era già chiaro agli invalidi civili totali che percepiscono l’assegno della pensione di invalidità. «La limitazione discende, a monte, da una condizione patologica intrinseca e non dal fisiologico e sopravvenuto invecchiamento». Per la Consulta l’assegno va triplicato e portato quindi a 651,51 euro, in quanto quello attuale è «innegabilmente e manifestamente insufficiente» per garantire il soddisfacimento dei bisogni primari. In ogni caso, l’adeguamento spetta al legislatore. A tal proposito, la Corte Costituzionale evidenzia che comunque il legislatore può «rimodulare la disciplina delle misure assistenziali vigenti, purché sia garantita agli invalidi civili totali l’effettività dei diritti loro riconosciuti dalla Costituzione». Un aumento di questo tipo per lo Stato si traduce in un costo che può andare dai 200 milioni di euro a 1,5 miliardi. Ma tenendo conto nell’aumento del reddito del nucleo di riferimento o del beneficiario. Si tratta quindi di una maggior spesa per lo Stato, ma legittima per la Consulta che parla di «diritti incomprimibili della persona».

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