Prima la Camera e poi il Senato hanno definitivamente licenziato il Decreto rilancio approvando un emendamento, sottoscritto da tutti i gruppi parlamentari, che crea un Fondo ad hoc per gli aumenti dei soli assegni d’invalidità civile al 100% e tale Fondo prevede uno stanziamento di 46 milioni di euro per il 2020. Si fa un passo avanti verso l’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale – di cui sempre su queste pagine abbiamo scritto – in materia di invalidità civile del 23 giugno scorso ritenendo l’attuale somma di 285 euro mensili del tutto inadeguata a garantire a persona totalmente inabile al lavoro i mezzi necessari per vivere.
La Consulta ha stabilito che l’assegno doveva essere portato almeno a 516,64 euro a partire dai 18 anni e fermi restando i limiti reddituali stabiliti. Prima della sentenza gli euro erano 286,81 ed erano corrisposti con il limite di reddito a 16.982,49. Ora con la sentenza l’aumento non sarà per tutti gli invalidi civili, ma solo per quelli l 100% e con reddito inferiore o pari a euro 6713,98. Da qui sono nate le numerose polemiche affinché l’assegno di invalidità, per chi percepisce 285 euro, venga raddoppiato a tutti indistintamente dal reddito e dalla percentuale di invalidità.
L’emendamento prevede che nello stato di previsione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è istituito un Fondo, con una dotazione iniziale pari a 46 milioni di euro per l’anno 2020, destinato a concorrere a ottemperare alla sentenza della Corte costituzionale. Restano quindi esclusi dall’aumento della pensione gli invalidi civili al 100% titolari di un reddito compreso tra i 6.713,99 euro e i 16.982,49 euro, per i quali l’assegno sarà sempre di 286,81 euro.
Ma quanti sono gli invalidi civili totali che nel 2020 possiedono i requisiti necessari a ricevere l’aumento? Come si è arrivati a stanziare i 46 milioni per il 2020? L’Inps già nel 2015 aveva rigettato la richiesta presentata il 2 agosto 2015 volta a ottenere la «maggiorazione sociale al milione» (in pratica la maggiorazione a 516,46 euro) prevista dall’art. 38, legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge Finanziaria 2002), perché il requisito anagrafico di 60 anni di età non veniva soddisfatto. Si tenga conto che il provvedimento ovviamente grava sul bilancio dell’Inps e si dovrà per gli anni futuri prevedere un intervento del legislatore per stabilizzare le risorse. La sentenza della Corte è come altre ”costitutive” di un diritto (decenni fa lo fece anche per una questione riguardante l’integrazione al minimo nel caso che la stessa persona fruisse di due trattamenti integrati). E per farlo ha evidentemente elaborato un nuovo limite di reddito diverso e inferiore a quello di solito considerato per le prestazioni assistenziali.
Proprio per la sua natura la sentenza non è retroattiva. Comunque la materia merita di essere riordinata, ma questo lo deve fare il legislatore tenendo conto ovviamente della copertura permanente della legge e del Bilancio annuale dell’Inps, che anche dagli ultimi dati resi noti non è in equilibrio.