Anche le pensioni dei dipendenti pubblici dall’anno prossimo subiranno delle novità importanti, in alcuni casi anche “penalizzanti”. La prima variazione sta nell’età minima per uscire dal lavoro, che passa da 65 a 67 anni, mentre l’altro cambiamento riguarda l’ipotetica possibilità di andare in quiescenza a 70 anni.
Novità sulla previdenziale sociale non propriamente convenienti neanche per gli impiegati nelle pubbliche amministrazioni, in un contesto dove al Governo l’argomento pensionistico non sembra “piacere”. Contro tutto e tutti, continua a resistere la Riforma Fornero che per i giovani diventa anche “svantaggiosa”.
Pensioni per i dipendenti pubblici: difficoltà in uscita
Si complica la manovra del Governo anche sulle pensioni per i dipendenti pubblici, che costringe gli impiegati nelle P.A ad uscire dal lavoro a 67 anni e in alcuni casi – con una risposta affermativa da ambe le parti – può spingere fino a 70 anni.
Laddove la pubblica amministrazione dovesse avere la necessità di far restare i lavoratori più anziani per favorire la transizione generazionale – per l’esperienza sul lavoro – e qualora l’impiegato fosse consenziente, allora egli andrà in pensione a settant’anni.
Ma se è pur vero che le misure per uscire prima sono state confermate, è anche vero che ci sono delle penalizzazioni importanti: accedere a Opzione Donna risulta complesso a causa delle forti restrizioni, Ape Sociale prevede finestre mobili ed età più lunga per poterci rientrare, e Quota 103 che fa slittare l’uscita (pur possedendo i requisiti) all’anno dopo, oltre il nuovo conteggio meno vantaggioso.
Bonus Maroni più forte
Anziché favorire l’uscita dal lavoro il Governo “premia” chi resta. Il rafforzamento del bonus Maroni ne è un esempio, dato che si estende a chi versa 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) e a chi potendo usufruire della Quota 103 non la sfrutta.
Il bonus Maroni prevede l’azzeramento delle tasse che sarebbero state versate come contributi INPS dal lavoratore che avrebbe deciso di rimanere sul lavoro e rinunciare ad uscire dal lavoro (pur godendo dei requisiti necessari per la pensione).
Il bonus consente un risparmio (per il lavoratore) pari all’8,8% dei contributi che sarebbero stati versati dai dipendenti pubblici e il 9,19% dai privati.