Com’è noto, il settore degli appalti è oggetto, attualmente così come nel recente passato, di numerosi progetti di intervento al fine di rendere più agevole e veloce l’apertura e la finalizzazione dei cantieri relativi non solo alle grandi opere, ma anche agli interventi in tema di dissesto idrogeologico, antisismici, ecc. Sotto un altro punto di vista, il sistema degli appalti, con il coinvolgimento di numerose ditte appaltatrici o subappaltatrici, Reti Temporanee d’Imprese, ecc., pone al centro dell’attenzione un possibile tema di diminuzione delle tutele e dei diritti dei lavoratori impiegati negli stessi, per via del meccanismo di corsa al prezzo minimo o ribassato che può comportare consistenti tagli al costo del lavoro.



Sulla materia propria delle tutele nei confronti dei lavoratori nell’ambito di un appalto (nel settore privato) è recentemente intervenuta la sentenza n. 18004 del 4 luglio 2019 della Corte di Cassazione, la quale ha affermato che la solidarietà negli appalti per quel che attiene al pagamento della contribuzione dei lavoratori dell’appaltatore impiegati nello stesso si estende per l’ordinario termine prescrizionale quinquennale e non per i soli due anni successivi alla cessazione dell’appalto.



Facendo un passo indietro: l’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 pone, in caso di appalto, in capo al committente la responsabilità solidale per il pagamento delle retribuzioni e della contribuzione di tutti i lavoratori dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori che hanno prestato la propria attività nell’ambito dell’appalto. Il medesimo articolo 29, tuttavia, prevede uno specifico termine decadenziale di due anni dalla fine del contratto di appalto entro il quale i lavoratori summenzionati possono rivolgersi al committente per il pagamento di quanto loro dovuto e non corrisposto da parte del datore di lavoro appaltatore/subappaltatore.



La questione esaminata dalla Suprema Corte nella sentenza citata afferisce l’applicabilità o meno del termine decadenziale di due anni dalla cessazione del contratto di appalto anche alle pretese contributive che l’Inps, nell’interesse dei lavoratori, vanta nei confronti del committente solidalmente responsabile. Il ragionamento seguito dalla Cassazione, che ribalta le statuizioni di entrambi i giudici di merito, parte dal presupposto della diversa natura e rilevanza sociale dell’obbligo retributivo e di quello contributivo, essendo quest’ultimo finalizzato al soddisfacimento di un interesse indiretto del lavoratore (quello alla contribuzione) e di un interesse diretto della collettività quale il finanziamento del sistema previdenziale.

Sulla scorta di tale ragionamento, la Cassazione ha concluso ritenendo che il termine decadenziale di due anni dalla cessazione del contratto di appalto debba applicarsi unicamente alle pretese retributive dei lavoratori partecipanti all’appalto stesso, mentre non possa valere per le pretese contributive dell’Inps, le quali rimarranno, quindi, assoggettate all’ordinario termine prescrizionale di cinque anni dalla maturazione del diritto.

Alla luce degli innovativi principi statuiti nella sentenza della Suprema Corte, quindi, in caso di appalto la società committente sarà ritenuta solidalmente responsabile entro due anni dalla cessazione dell’appalto limitatamente alle eventuali pretese retributive dei dipendenti che hanno preso parte alle lavorazioni, mentre rimarrà responsabile per il pagamento della contribuzione non versata dal formale datore di lavoro/appaltatore per l’ordinario termine prescrizionale di cinque anni.

L’innovativa sentenza della Suprema Corte contribuisce, da una parte, a garantire maggiori tutele ai lavoratori nell’ambito di un appalto (limitatamente al pagamento della contribuzione spettante), ma, dall’altra, ad aumentare l’incertezza economica in capo al committente dell’appalto, il quale rimane economicamente esposto per il pagamento della contribuzione dei dipendenti delle imprese appaltatrici e subappaltatrici per un lasso di tempo più che doppio rispetto al termine decadenziale di due anni previsto dal D.Lgs. 276/2003.