Dopo la pausa estiva è ripreso il confronto tra governo e sindacati in merito alla possibilità di inserire qualche intervento significativo nella prossima legge di bilancio in ambito previdenziale. Sono incontri tecnici che nulla possono portare di novità perché manca la componente politica, che è quella che poi decide eventuali interventi legislativi. La Commissione voluta dalla ministra Calderone si limita ad ascoltare le proposte della varie sigle sindacali, sarà così anche per l’incontro del 18 settembre sulla previdenza complementare: fa le sue valutazioni, trae le sue conclusioni indicando all’Esecutivo una possibile strada da percorrere, ma sarà poi il Governo che dirà la parola finale su tale problematica.
E la situazione, se vogliamo, è ancor più difficile rispetto a due mesi fa. Non si hanno ancora, ovviamente, i dati definitivi della stagione turistica ma dai primi segnali sembra che lo sperato boom non si sia verificato, in quanto a un aumento delle presenze straniere si è contrapposta una diminuzione dei vacanzieri interni, che a causa dell’impennata dei costi dei trasporti e dei servizi turistici hanno preferito vacanze “mordi e fuggi” a scapito di soggiorni lunghi. Dopo parecchi trimestri positivi il Pil ha avuto una brusca diminuzione dello 0,4% rispetto al trimestre precedente, mettendo fortemente a rischio quelle che erano le previsioni governative di un aumento del Pil nel 2023 dell’1%: probabilmente ci si fermerà ad uno 0,7-0,8% ed anche l’occupazione che nel 2022 e all’inizio del 2023 aveva registrato numeri in aumento, nel trimestre aprile-giugno ha avuto una contrazione.
In estate, poi, ci sono stati i dati comunicati dall’Agenzia delle Entrate sui costi esorbitanti derivati dal Superbonus 110% che superano i 100 miliardi e che faranno ancora sentire gli effetti sugli anni successivi e la difficoltà, nonostante i continui aumenti del tasso di sconto della Bce per contenerla, di fare scendere l’inflazione che si trova ancora intorno al 5,6%. Considerando che probabilmente a fine anno si assesterà poco sotto al 5% e che ancora l’Erario deve corrispondere ai pensionati lo 0,8% dell’anno precedente (è stato pagato infatti il 7,3% rispetto al dato finale dell’8,1%) si comprende che in merito alla riforma previdenziale grosse nubi si addensano su significativi cambiamenti nella prossima legge di bilancio.
Con questo quadro complessivo per il Governo sarà quasi impossibile mantenere quanto promesso in campagna elettorale ed infatti già diversi esponenti governativi hanno affermato all’unisono che “la coperta è corta” e che un intervento significativo sulle pensioni sarà attuato nel corso della legislatura. Sappiamo per esperienza che procrastinare l’attuazione delle riforme è sempre molto incauto, sia perché altri eventi possono sopraggiungere, dato che difficilmente si può ipotizzare che nei prossimi anni con una guerra in Ucraina che non accenna a terminare, l’inflazione ancora alta, un problema immigrazione lontano dalla risoluzione e la natalità ai minimi storici la situazione economica possa cambiare radicalmente, sia perché in Italia non sempre i governi durano fino al termine della legislatura.
La Lega di Salvini continua parlare di “Quota 41” magari per il solo anno 2024 optando per il calcolo contributivo, Forza Italia nel solco del defunto Berlusconi ipotizza di aumentare le pensioni minime nel 2024 almeno a 700 euro, i sindacati confederali chiedono di operare una ampia flessibilità in uscita e puntano su pensione di garanzia per giovani e donne e ripristino totale di Opzione Donna ante legge bilancio 2023. La Meloni, invece, al di là di affermazioni dove si sostiene che tutto va bene, è molto preoccupata dei conti pubblici e anche per non inimicarsi l’Ue vuole fare una manovra economica molto prudente dove la riforma previdenziale, di fatto, scompare.
Molto probabilmente come l’anno scorso e rischiando un intervento della Corte Costituzionale al pari di quello sulla indifferibilità della corresponsione del Tfs ai pubblici dipendenti, rivaluterà le pensioni al 100% solamente fino ai 1.600 euro nette, rinnoverà per un anno la non amata “Quota 103”, l’Ape Sociale e forse amplierà le possibili destinatarie di Opzione Donna alzando a 60 anni l’età per potervi accedere. Evidentemente troppo poco dopo le promesse elettorali. Sarebbe auspicabile almeno una forma di flessibilità anche con lievi penalizzazioni, perché il limite dei 67 anni per la pensione di vecchiaia, e rispettivamente i 42 anni e 10 mesi per gli uomini ed i 41 anni e 10 mesi per le donne a cui bisogna aggiungere anche la finestra di 3 mesi per la pensione anticipata, sono parametri troppo elevati per talune categorie di lavoratrici e lavoratori. Vedremo cosa succederà e cosa finalmente, dopo mesi immobilismo, deciderà l’Esecutivo, sperando che voglia dare priorità alla riforma della previdenza piuttosto che a quelle pur necessarie della giustizia e del fisco.
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