Il Governo scivola per la seconda volta nel giro di poco tempo accanendosi sui cittadini e cittadine italiani invalidi, civili e del lavoro, sia totali che in percentuale comunque alta. La prima cosiddetta “caduta” riguardava la decisione poi “riparata” con un emendamento in Legge di bilancio 2022, che portava i disabili percettori di assegno pensionistico a rinunciare all’assegno di invalidità (287,09 euro al mese per 13 mesi) se volevano svolgere alcuni lavoretti. Dove per lavorare si intende  al massimo un impegno da 400 euro al mese per non superare il tetto di reddito annuale, compatibile con l’assegno di invalidità, da 4.931 euro. Un cortocircuito che rischiava  di lasciare ai margini migliaia di persone affette da disabilità “non grave” dal 74% al 99%, impedendo loro di integrarsi socialmente a meno di rinunciare al sostegno a cui hanno diritto. 



Ora ci risiamo. Chi percepiva  la pensione di invalidità  civile (291 euro al mese) senza altri introiti, ora incrementata di 368,58 euro al mese dopo che la Corte Costituzionale  nel giugno del 2020 con sentenza n. 152 ha deciso che si doveva adeguare al minimo vitale (considerando che la cifra diminuisce se si dispone di redditi anche minimi fino a sparire se si raggiungono, pensione esclusa, gli 8.583,51 euro) viene considerata reddito con aumento dell’Isee familiare.  Ora però il Governo deve ritrovare un ragionevole ripensamento e rimediare. E in fretta. 



Un paradosso dunque che riguarda le più deboli fra le persone con disabilità e le loro famiglie. Infatti, nell’Isee, certificazione necessaria per accedere a prestazioni sociali agevolate o per ottenere benefici, e tra questi vi è il nuovo assegno unico e universale per figli e disabili, vengono in pratica conteggiate gli incrementi delle pensioni di invalidità alla stessa stregua di un reddito. La conseguenza è che l’Isee di chi percepisce le maggiorazioni si alza, i benefici diminuiscono e le famiglie che in questi giorni hanno ottenuto il nuovo Isee  hanno scoperto essere  più alto in presenza nel nucleo di un pensionato disabile. È bene rammentare che in origine, cioè nel 2013 con DPCM 159 –  che stabilì il calcolo dell’Isee – era previsto che le pensioni e gli assegni delle persone con disabilità fossero considerati nell’indicatore della situazione reddituale. Tre ricorsi al Tar e poi tre sentenze di Consiglio di Stato (841, 842 e 838 del 2016)  costrinsero il legislatore a escludere dall’Isee “i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese le carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche in ragione della condizione di disabilità” (legge 89/2016). Le pensioni di invalidi, ciechi e sordi tornano a essere reddito, almeno per le maggiorazioni? Ma è interpretazione e scelta autonoma di Inps e Agenzia delle entrate oppure è una scelta politica? Il Governo si ravveda altrimenti, giustamente, pioveranno  contenziosi.



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