Per sottrarmi dall’immondezzaio dei talk show spesso, la sera, dopo il telegiornale e in attesa che comincino i film, parcheggio con lo zapping su di un programma di Amadeus nel quale i concorrenti devono indovinare il contenuto di una spianata di scatole blu. Mi è venuto in mente questo gioco quando ho letto i resoconti di agenzia i contenuti del disegno di legge di bilancio 2024 in materia di pensioni, una scatola che deve ancora essere aperta per capire con chiarezza che cosa contiene. Non è facile venirne a capo, perché sembra evidente che il Governo non ha ancora stabilito come riempire quella scatola tanto ingombrante.
Partiamo da una voce di spesa: 3,5 miliardi destinati “alla riduzione dello scalone”. A meno che non si pensi a qualche edificio pubblico, di scalone ce ne è uno solo che ammorba da anni la cattiva coscienza dei Governi: si tratta del salto di alcuni anni a cui andrebbero incontro i pensionandi non in grado di far valere i requisiti ordinari per il pensionamento anticipato (42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne fino a tutto il 2026) dal momento in cui è giunta a scadenza Quota 100. A seconda dei casi gli interessati sarebbero stati costretti ad attendere il raggiungimento del requisito contributivo o l’età di 67 anni. Per evitare questo “salto nel buio” ogni anno si era aggiunta una nuova quota, senza contare le misure “alternative” che potevano essere in grado di predisporre qualche ponte meno impegnativo di quello tra Scilla e Cariddi. Ci riferiamo a un ventaglio di misure come l’Ape sociale, i c.d. “quarantunisti”, le oltre 200 fattispecie di lavoro disagiato, Opzione donna e quant’altro.
La manovra interviene anche su Ape sociale e Opzione donna, riuniti in un unico fondo di flessibilità in uscita. Per quanto riguarda l’Ape, la manovra porta a 36 anni il requisito contributivo per gli uomini e ha introdotto requisiti diversi per le donne. Resta il regime delle quote con alcune specifiche che tengono conto della necessità di valorizzare chi vuole rimanere a lavoro (quali il Bonus Maroni). Siamo nel vago, si naviga al buio. Già la Legge di bilancio per il 2023 prevedeva un incentivo a non utilizzare l’uscita anticipata consistente nell’esonerare il lavoratore dal pagamento di quel 9% che era la sua quota di aliquota pensionistica. Maroni era stato ben più di manica larga nel senso che il suo incentivo assorbiva in busta paga tutto il 33% del complesso dell’aliquota per di più al netto delle tasse.
Il ddl interviene anche sul sistema contributivo eliminando il vincolo, introdotto dalla riforma Fornero, che consentiva il pensionamento con l’età prevista solo se l’importo dell’assegno fosse stato non inferiore a 1,5 volte la pensione sociale. Questa misura meritava di essere inserita in un contesto più organico giacché non sembra essere affrontato il vincolo del di 2,8 volte la pensione sociale previsto per il pensionamento anticipato a 64 anni. C’era il tempo per una più approfondita riflessione anche perché sono pochi coloro che – essendo regolati interamente dal calcolo contributivo – sono in grado di aver già maturato i requisiti necessari al pensionamento.
Infine, quello che ci aspettavamo. Sulla rivalutazione delle pensioni in rapporto al dato inflazionistico si rivalutano al 100% le pensioni fino a quattro volte il minimo, al 90% quelle da quattro a cinque volte e poi a scendere man mano che aumenta l’importo. Bisognerà controllare l’itinerario della discesa perché è da misure come questa da cui si ricavano minori spese a carico delle pensioni più elevate. Viene confermata la super rivalutazione al costo della vita delle pensioni minime per gli over 75, così il fantasma di Silvio Berlusconi non comparirà di notte a turbare il sonno della Premier. Ovviamente la manovra fiscale a tutela dei redditi più bassi, diminuirà il prelievo fiscale anche sul reddito dei pensionati interessati alle nuove aliquote.
Per quanto riguarda il lavoro, il clou sta nella conferma del taglio del cuneo contributivo anche nel 2024. Qualcuno protesterà perché non si tratta ancora di un taglio strutturale, ma con poche risorse a disposizione non valeva la pena impegnarsi per un futuro superiore a un anno. La misura più significativa riguarda le lavoratrici madri: quelle con due figli o più, fino a dieci anni, non pagheranno i contributi a carico del lavoratore perché saranno posti interamente a carico dello Stato. È previsto poi un robusto incentivo per le aziende che assumeranno lavoratrici con figli o persone in uscita dal Reddito di cittadinanza. Anche ai lavoratori si applicheranno le nuove aliquote fiscali, con l’accorpamento delle prime due fasce Irpef (0-15mila al 23% e 15-28mila al 27%) al 23% per tutti i redditi fino a 28mila euro l’anno. La misura è finanziata con 4,3 miliardi. L’effetto per le buste paga di circa 14 milioni di lavoratori dipendenti non sarà di poco conto: la contemporanea applicazione della riduzione del cuneo contributivo e della nuova aliquota Irpef produrranno un aumento di 1.298 euro annui (per i redditi fino a 27.500 euro lordi annui).
La manovra prova a invogliare le imprese ad assumere mamme attraverso una “superdeduzione” per chi assume a tempo indeterminato pari al 120% per tutte le assunzioni e fino al 130% per chi assume mamme, under 30, percettori di Rdc e persone con invalidità. Il Governo ribadisce il principio per cui più è alta l’incidenza di dipendenti in rapporto al fatturato, meno tasse si devono allo Stato. Questa misura, che – nei conti del Governo – non vale meno di 1,3 miliardi di euro, va sommarsi, ha ricordato Meloni in conferenza stampa – alla decontribuzione per chi assume nel Mezzogiorno nelle zone economiche speciali, come previsto nel decreto Sud. Una misura siffatta era già contenuta nella Legge di bilancio 2023. Qualcuno ne ha valutato gli effetti?
Poi ci sono 5 miliardi per i contratti della Pa. In conclusione, un tempo si diceva che non si festeggiano le nozze con i fichi secchi. Ma qualche risorsa in più sarebbe stata utile in sanità, anziché sulle pensioni.
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