Pensioni più basse per chi vive di più: proposta choc dell’Inps, che nel calcolo vuole includere anche il luogo di residenza e la professione svolta. L’idea emerge da uno studio che si pone come obiettivo la perequazione degli assegni pensionistici in base alla speranza di vita dei lavoratori, diversificandoli anche per regione di residenza e tipologia di professione svolta. Questi dati potrebbero essere usati dal governo per la riforma delle pensioni, spiega Il Messaggero. L’Inps parte dalla denuncia di un’ingiustizia: gli assegni vanno stabiliti tenendo presente che i soggetti meno abbienti hanno una speranza di vita più breve. Ciò non solo è meno equo, ma avvantaggia solo i più ricchi. Pertanto, per comprendere i criteri di categorizzazione delle pensioni, è necessario controllare la speranza di vita divisa per regioni o lavoro.



Ad esempio, per i maschi la longevità massima è nelle Marche e in Umbria, invece per le donne è il Trentino Alto Adige. La speranza di vita è più bassa in Campania e in Sicilia. Inoltre, ci sono persone che all’età pensionabile di 67 anni possono vivere anche per decenni, mentre altri soggetti hanno un’aspettativa nettamente inferiore di godere degli assegni. Entra in gioco anche il coefficiente di trasformazione, il valore che concorre al calcolo della pensione col metodo contributivo, che ora è uguale per tutti. Ma non si tiene conto della professione svolta, del logorio, dell’efficienza sanitaria della Regione di residenza, oltre a predisposizioni genetiche.



PENSIONI, SPERANZA DI VITA E COEFFICIENTI

La riduzione della speranza di vita con l’aumento della mortalità per il Covid ha contribuito all’aumento delle pensioni di chi ne usufruirà da quest’anno. Tramite un decreto interministeriale, emanato dai ministeri del Lavoro e dell’Economia, l’Inps recentemente ha comunicato l’aggiornamento dei coefficienti usati per il calcolo delle quote contributive nei periodi 2023-2024. Questi coefficienti di trasformazione contribuiscono al calcolo delle pensioni e variano in base all’età del lavoratore quando richiede la pensione, da 57 fino a 71 anni. Come evidenziato da Il Messaggero, maggiore è l’età al momento del pensionamento, più alti saranno i coefficienti di trasformazione. Ad esempio, quest’anno il coefficiente è 4,270 per chi esce a 57 anni (contro i 4,186 nel biennio 2021-2022) e 6,655 per chi esce a 71 anni (contro i 6,466 nel biennio 2021-2022).



INPS: LE DIFFERENZE TRA PROFESSIONI

Per quanto riguarda le differenze tra i lavori, i dati dell’Inps evidenziano che un pensionato iscritto al fondo dei lavoratori dipendenti, che include operai e impiegati, ha una previsione media di ricevere una pensione per 17,6 anni, invece un pensionato ex dirigente iscritto alla gestione Inpdai ha una previsione media di percepire la pensione per 19,7 anni. Ma non è solo il lavoro a condizionare la speranza di vita pensionistica, bensì pure il reddito svolge un ruolo significativo. In tal caso, le differenze sono ancora più marcate. Un pensionato nel “primo quintile” delle fasce di reddito, quindi tra i redditi più bassi, prevedibilmente riceverà una pensione per 16 anni in media.

Invece, un ex pilota nel “quinto quintile,” la fascia di reddito più alta, avrà una previsione media di percepire la pensione per 20,9 anni. In conclusione, l’aspettativa di vita media del primo gruppo è inferiore di quasi 5 anni rispetto al secondo gruppo. Una proposta complessa, lo è la differenziazione in base al luogo o all’attività di lavoro. Inoltre, rimarrebbe la disparità di partenza nella maggiore speranza di vita per le donne rispetto agli uomini. Infatti, i sindacati hanno chiesto di cancellare ogni ricalcolo in base alla speranza di vita, in quanto l’impatto è negativo per gli assegni.