Mentre l’occupazione fa registrare livelli record, cioè 24 milioni di persone a lavoro, cambiano le regole per andare in pensione. Le opzioni in campo sono diverse, motivo per il quale gli italiani non hanno sempre le idee chiare sul tema, e ciò è un problema visto che nei prossimi cinque anni i nuovi pensionati saranno quattro milioni circa. In attesa del report di luglio del Cnel, che segnalerà le criticità del sistema pensioni, e della messa a punto della proposta di riforma che dovrebbe arrivare a ottobre, si può partire da un punto fermo: le pensioni saranno meno “ricche” e sempre più distanti, perché non si può correre il rischio di far saltare il bilancio statale. Peraltro, per chi si approccia alle pensioni anticipate, le condizioni di uscita non solo sono complesse, ma anche poco generose.
Attualmente, può andare in pensione chi è arrivato a 67 anni con almeno 20 di contribuzione previdenziale obbligatori e chi ha 71 anni e ha versato almeno 5 anni di contributivi, ci sono poi diverse forme di pensioni anticipate per lasciare il lavoro prima di aver compiuto 67 anni. Sono due i requisiti della pensione anticipata di vecchiaia: per gli uomini 42 anni e 10 mesi di contributi, per le donne un anno in meno. Quindi, si prescinde dall’età, ma non dal versamento dei contributi prima del 1996.
PENSIONI, QUOTA 103, APE SOCIALE E OPZIONE DONNA: COME FUNZIONANO
Chi aspira ad andare in pensione può tener conto anche di Quota 103, per il quale servono 62 ani di età e 41 anni di contributi versati, però l’importo delle pensioni viene calcolato solo tenendo conto del sistema contributivo e c’è un tetto massimo al valore lordo dell’assegno mensile, che non può essere 4 volte superiore al minimo fissato dall’Inps. Per quanto riguarda il tempo che deve passare tra la maturazione dei requisiti e il pensionamento, è salito a 7 mesi per i dipendenti privati e 9 mesi per quelli pubblici.
Discorso diverso per l’Ape sociale, che si ottiene con 63 anni e 5 mesi di età, ma è disponibile solo per alcuni lavoratori: chi svolge lavori gravosi, ma avendolo fatto per almeno sette anni negli ultimi dieci o sei negli ultimi sette; invalidi civili al 74%, disoccupati che non ricevono più la Naspi o un’indennità equivalente, caregivers che assistono da almeno 6 mesi. Per quanto riguarda i contributi, il minimo varia in base alle categorie, passando da 28 a 34 anni. Infine, c’è Opzione donna, destinata solo alle lavoratrici se però sono state licenziate o lavorano per aziende in crisi aperte al ministero, se hanno disabilità di almeno il 74% e se assistono da almeno sei mesi persone con disabilità grave con cui convivono.