Sulle pensioni c’è molto da dire e da fare soprattutto. La riforma abolirà (probabilmente) gli scivoli anticipati e quindi dal 2025 si prospetterà una road map completamente differente rispetto a quella attuale (composta principalmente da misure temporanee e in scadenza).

Il primo problema da superare riguarda il gettito fiscale che ammonta a 25 miliardi di euro. E non di meno andranno superati altri due tasselli: nominare il nuovo Ragioniere generale dello Stato e accertarsi di incassare i proventi tributari necessari per stipulare una riforma.



Pensioni e scivoli anticipati: cambiamenti nell’aria 2025

Prima di vedere in che modo potrebbero essere aboliti gli scivoli anticipati per le pensioni del 2025 in poi, occorre fare una premessa importante. Per far sì – come dichiarato dal Viceministro Giorgetti – che il sistema regga (fa faticare perfino il contributivo) è stata innalzata l’età media per uscire dal lavoro (da 15-64 a 15-69).



A risentirne maggiormente saranno i giovani che alle condizioni attuali potrebbero andare in pensione all’età di 70 anni. Un’uscita decisamente ampia se la paragoniamo rispetto anche a quella odierna.

Tornando alle “finestre di mobilità” possiamo affermare quasi certamente che la riforma previdenziale del 2025 non ne vedrà. Questo perché già di recente Giancarlo Giorgetti attuare delle strette agli svicoli relativi a Opzione Donna e Quota 103. Le parole del viceministro sono state chiare:

«Non intendo negare la giusta aspettativa del pensionamento anticipato, ma è stato fatto quanto era possibile».



La prima restrizione su Quota 103 ha previsto un “ricalcolo contributivo” per coloro che hanno optato per lo scivolo. Mentre i prepensionati sono stati “condannati” ad un’attesa di 9 mesi prima di poter ricevere e incassare l’assegno previdenziale.

Verso delle riconferme

L’unica probabilità” che c’è sulle pensioni prossime sarà l’abolizione degli scivoli anticipati e la conferma delle attuali misure (Quota 103 e Opzione Donna). Le stesse che ad oggi permettono di equilibrare la spesa pubblica senza avere un esborso eccessivo.

Inoltre con il patto di stabilità dell’Unione Europea il Governo italiano non può superare il 2% della spesa pubblica.

Una situazione complessa da fronteggiare dato che il nostro sistema è basato sulla “ripartizione“. Ovvero: i lavoratori che versano i contributi INPS sono gli stessi che pagano le pensioni. A lungo andare a causa della decrescita demografica le difficoltà sono sempre più evidenti.