L’intervista a tutta pagina che La Verità ha lanciato ieri sul caso di Bibbiano fa emergere per la prima volta una “spiegazione” dal di dentro dei servizi sociali della Val d’Enza: una sorta di “pentita” che racconta per filo e per segno quanto di ignobile avveniva all’interno dei suoi uffici e quanto ha “visto” prima di chiedere di essere trasferita. Si chiama Cinzia Magnarelli, è una assistente sociale ed è anche lei indagata all’interno della maxi inchiesta “Angeli e Demoni” sugli affidi illeciti del “sistema Bibbiano”: nelle scorse settimane ha parlato col gip Luca Ramponi e tramite quella confessione ha ottenuto la revoca della misura cautelare e potrà tornare a lavorare a Montecchio Emilia. «È vero, ho modificato quelle relazioni ma l’ho fatto a causa delle pressioni che subivo dai miei superiori. Mi sono adagiata per del tempo ma poi non ce la facevo più: per questo ho chiesto il trasferimento», ha raccontato la donna ai colleghi de La Verità, di fatto la prima vera “pentita” dell’intero sistema Bibbiano. Il modus operandi visto da vicino della Anghinolfi e di tutti i colleghi che ora sono sotto indagine per quel “sistema” assai poco limpido degli affidi dei minori. «Il clima era quello un po’ della caccia alle streghe…», confessa la Magnarelli che si dice pentita di quanto fatto anche se con delle “scuse” dettate dalle condizioni di controllo a cui era sottoposta.
BIBBIANO, “COSÌ TOGLIEVAMO I BIMBI ALLE FAMIGLIE”
«Io ho sempre pensato di muovermi nella massima tutela per i minori […] Il motivo per cui ho deciso di fare richiesta di trasferimento dal servizio che stavo svolgendo a un altro servizio, sempre nella pubblica amministrazione, è che mi ero resa conto che il servizio sociale utilizzava come criterio principe il controllo invece dell’aiuto» racconta ancora l’assistente sociale accusata ora di violenza privata e tentata estorsione, falso ideologico e frode processuale. Il sistema portava a “scegliere” sempre l’opzione di allontanamento dalla famiglia naturale del bambino, piuttosto che il sostegno per provare a recuperare situazioni considerate difficili (ma come ha mostrato l’indagine, non sempre questo avveniva e capitava di togliere bimbi a famiglie senza in realtà reali motivazioni, ndr). «Laddove certe problematiche si sarebbero potute risolvere con il supporto alle famiglie, si prediligeva comunque la valorizzazione degli elementi che potevano portare a una richiesta di trasferimento del bambino a sede diversa da quella familiare. Nel corso del tempo ho metabolizzato il funzionamento del sistema. Il lavoro che facevo all’ interno dell’equipe veniva criticato dai miei superiori. Nelle relazioni che sarebbero poi state mandate alla magistratura c’era sempre una predilezione per una visione dell’educazione del bambino scollegata dalla famiglia. Non veniva ritenuto equo e adatto il supporto all’interno della famiglia…», il passaggio forse più inquietante dell’intera intervista alla Magnarelli. False relazioni “taroccate” nei tribunali dei minori spingevano poi i giudizi a scegliere la proposta dei servizi sociali, con la strada dell’affido sempre e comunque preferita al mantenimento in famiglia. Un sistema crudele che ora, grazie alle indagini, inizia ad essere deostruito passo dopo passo, testimonianza dopo testimonianza..