LA LEZIONE DEL CARDINAL SCHÖNBORN: “CRISTIANI È INCONTRARE GLI ALTRI”

È possibile essere cristiani e aperti all’altro in un mondo secolare (e secolarizzato) come il nostro: a dirlo è il cardinale Chirstoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, nel suo ultimo editoriale sulla rivista “Vita e Pensiero” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Anticipato in un largo estratto su “La Stampa”, lo scritto del card. Schönborn approfondisce il valore della relazione, dei rapporti all’interno della Chiesa: imparando dalla lezione massima di Benedetto XVI, ovvero che prima di ogni morale o etica, è il rapporto d’amicizia con Gesù la vera pietra angolare del cristianesimo. E proprio in forza di quel “legame” è possibile ancora oggi sperimentare e testimoniare la fede cristiana in quanto il metodo insegnato da Cristo è quanto di più umano e semplice.



Parlando della situazione particolare che vive la “sua” Austria, l’arcivescovo di Vienna inizia la sua trattazione trattando il tema della sempre più crescente presenza di musulmani: «che ne sarà del nostro Paese? Come si muove la Chiesa?», questo il tenore di molte domande sincere rivolte dai fedeli alla Diocesi. Sono richieste di spiegazione ma anche messaggi di “paura” che la popolazione sente su di sé: Schönborn risponde alla complessa domanda sulla possibile “fine del cristianesimo” sottolineando come essere cristiani in una società secolare «richiede anzitutto come prerequisito indispensabile, una salda posizione personale nella fede». Secondo il cardinale, nel concreto, questo significa che occorra «una relazione viva con Dio, un legame con Gesù centro della fede cristiana».



“DA RATZINGER A PAPA FRANCESCO”, IL RICORDO DI SCHÖNBORN E IL MONITO PER LA CHIESA

Diversamente da quanto potrebbe sembrare ad una lettura superficiale, il discorso del Card. Schönborn non intende sminuire il valore della tradizione e la grandezza della religione popolare, in quanto sono ancora «preziose risorse nel nostro Paese» e per l’intera Europa. Il tema piuttosto è un’altro: «di fronte alle sfide di una società secolare, è necessario qualcosa di più». Qui il prelato ricorda l’insegnamento sul valore più profondo del cristianesimo, secondo il suo antico maestro teologo Joseph Ratzinger: nell’omelia di insediamento dopo la nomina in Conclave, Benedetto XVI il 24 aprile 2005 disse con chiarezza che il cristianesimo «non è prima di tutto una morale, ma una relazione, un rapporto di amicizia con Gesù».



Una posizione del genere è l’esatto opposto della chiusura, è invece un’apertura del cuore verso l’altro, verso l’incontro con l’altro, sebbene pensi e viva in modo diverso: «essere cristiani non significa vivere in un ghetto al riparto dal mondo secolare, visto come ostile e malvagio». Per il cardinale austriaco, l’autentica identità cristiana non fomenta la paura del contatto con chi pensa diversamente da noi: la sfida, afferma Schönborn, «è vivere sempre più profondamente l’atteggiamento di Gesù stesso, apprendere quel suo sguardo sulle persone». Non serve “cambiare” il cristianesimo o “aggiornarlo” alle richieste mondane odierne: per l’arcivescovo di Vienna, «serve l’orientamento su Gesù e sul Vangelo». Spesso Papa Francesco cita il suo predecessore Benedetto XVI quando ripeteva che la Chiesa «cresce non per proselitismo, cresce per attrazione». Sul finire del suo editoriale, anticipato oggi dalla “Stampa”, Schönborn giudica da vicino la problematica della “non attrattività” che si scatena spesso come critica alla Chiesa moderna: per esempio, Papa Francesco ha un indice di gradimento molto amato, eppure «il numero di coloro che abbandonano la Chiesa non è mutato. L’effetto Francesco non si traduce in un bonus per la Chiesa».