Il giornalista Domenico Quirico sulle pagine della Stampa ha pubblicato un’ampia riflessione che parte dall’attentato a Mosca, ordito dall’Isis, per arrivare a condannare l’atteggiamento occidentale sulle (evidenti) torture a cui il Cremlino ha sottoposto i quattro responsabili. Un caso, riflette, “da manuale: commettere il male in nome del bene, anzi per il bene della Causa. La tortura, per svelare le trame del terrorismo, disarticolare la rete dei fabbricanti di cadaveri che ha già colpito e minaccia di colpire ancora”.
“Non ci sono dubbi”, sottolinea Quirico, “sul modo con cui a Mosca vengono condotti gli interrogatori” dei jihadisti colpevoli del massacro, ma stupiscono, quanto meno, le reazioni occidentali. La deriva delle torture, infatti, ricorda il giornalista è iniziata ben prima di Mosca, almeno “dopo il 2001 e il capolavoro di Bin Laden“, quando “la guerra americana al terrorismo ha legittimato vaste e profonde eccezioni al diritto, tra cui il ricorso alla tortura. Deviazione che in occidente, senza quello choc omicida, avremmo contestato con asprezza come intollerabili limitazioni e ferite alla democrazia“. È chiaro, insomma, secondo Quirico, che “qui non parliamo di Putin, di Bashar o dei feroci tiranni del Sud globale. Parliamo anche di Guantanamo e di Abu Ghraib”, che a differenze delle putinane torture hanno ottenuto “il sigillo di eccellenti Corti, tribunali e parlamenti”.
Domenico Quirico: “Cosa resta di uomini e idee se pieghiamo il diritto?”
Insomma, secondo Quirico c’è poco da stupirsi e ancor meno di fare la morale a Putin per le torture ai prigionieri, soprattutto se si dimentica di inserirle nel loro “contesto, la guerra”. In nome della guerra alla jihad, esattamente come ora in Russia, “abbiamo guardato affondare la democrazia e con lei il diritto” e non va negato che “dopo le Torri gemelle la giustizia occidentale si è addossata pubblicamente la sua parte di violenza, l’uso della sofferenza è uscita dall’ombra e dalle regole per diventare un esplicito atto procedurale e amministrativo“.
Ma secondo Quirico, più che sul contesto e sui vizi formali, la riflessione sulle torture deve concentrarsi attorno ad una questione più importante. “Che importano gli uomini se il loro sacrificio è utile, che importano le intenzioni se stabiliamo che in alcuni casi le buone annullano le cattive”, con un esercizio di stile che “siano noi a stabilire”, ma di contro “quando nel nome della necessità abbiamo seminato la violenza e la violazione di quanto difendiamo, la legge, che
resterà di quella idea santa?”. La chiusura di Quirico è chiara e non vuole lasciar intendere una qualche giustificazione ai metodi di Putin o degli USA, perché, chiarisce, “nessun jihadismo, e nessuna guerra, ci giustifica a gestire e sfruttare gli illegalismi“.