Il Tribunale di Pisa torna a ‘demolire’ i Dpcm di Giuseppe Conte, ma stavolta prende di mira anche lo stato di emergenza. Dopo la sentenza del 21 marzo scorso, con cui due cittadini marocchini – trovati fuori casa durante il lockdown senza una valida giustificazione – furono assolti, arriva una nuova sentenza pronunciata ancora una volta dalla dottoressa Lina Manuali nella pubblica udienza dell’8 novembre scorso, nelle cui motivazioni pubblicate ieri (e riportate da LabParlamento) “entra” anche IlSussidiario.net.



Anche a tali imputati era stata contestata la violazione dell’ordine di non uscire, se non per motivi di lavoro, salute o necessità, imposto dal Dpcm del 08.03.2020. Sono stati assolti non perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, ma perché il fatto non sussiste. Non solo, gli atti sono stati trasmessi al Prefetto, «in quanto non si reputa il DPCM 08.03.2020 costituente provvedimento legalmente dato dall’Autorità, come per contro richiesto dall’art. 650 cp.». Peraltro, nel dispositivo si precisa che «occorre verificare se, a quali condizioni e con quali modalità, in situazioni emergenziali, tali diritti possano essere compressi a tutela di altri diritti anch’essi costituzionalmente previsti». A tal proposito, viene messo in evidenza anche che la Costituzione italiana «non contempla né lo stato di eccezione, né lo stato di emergenza, che è una declinazione dell’eccezione, al di fuori dello stato di guerra, previsto all’art. 78 della Cost.». Dunque, si fa riferimento allo stato di emergenza come condizione giuridica attivabile al verificarsi di eventi eccezionali, ma d’altra parte si sottolinea che gli strumenti adottati devono avere «un fondamento di rango costituzionale, specie per quanto attiene ai presupposti, qualora incidano e impattino su diritti costituzionalmente garantiti».



“NON ESISTE GERARCHIA DI DIRITTI FONDAMENTALI”

Nella sentenza si precisa che l’assenza di un articolo in Costituzione che disciplini lo stato d’emergenza per eventi non bellici è stato voluto dagli stessi costituenti, «onde evitare che (..) si potessero comprimere diritti fondamentali con conseguente alterazione dello stesso assetto dei poteri». Viene citata a tal proposito una affermazione di Marta Cartabia del 28 aprile 2020, quando l’attuale ministro della Giustizia era presidente della Consulta: «Non c’è un diritto speciale, anche in emergenza. La Costituzione sia la bussola per tutti». Il Dpcm di Giuseppe Conte viene contestato anche perché i diritti fondamentali «si trovano tra loro in rapporto di integrazione reciproca e mai di prevalenza di uno rispetto agli altri». Di conseguenza, non si può stabilire una gerarchia tra i diritti fondamentali quando c’è un’emergenza. Se però l’esercizio di un diritto comporta, in caso di necessità e urgenza, la limitazione di altri, allora questo «deve avvenire nel rispetto dei principi della legalità, riserva di legge (assoluta o relativa), necessità, proporzionalità, bilanciamento e temporaneità», perché altrimenti si rischia di far insorgere il cosiddetto “diritto tiranno”, «con conseguente non solo violazione della Costituzione, ma addirittura superamento del perimetro delineato dalla carta costituzionale».



“NESSUN PRESUPPOSTO LEGISLATIVO”

La sentenza del Tribunale di Pisa evidenzia che «le disposizioni normative poste alla base della dichiarazione dello stato di emergenza del 31.01.2020 nulla hanno a che vedere con situazioni di “rischio sanitario”». Il riferimento è al Codice della Protezione civile, che prevede la deliberazione dello stato di emergenza, ma per eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo. Nè è credibile l’inserimento nella locuzione rischio igienico-sanitario, «di competenza legislativa esclusiva delle Regioni». In questi casi, quando cioè manca il fondamento giuridico di rango primario, si fa ricorso alla Carta Costituzionale, dove però non ci sono disposizioni che conferiscono poteri particolari al Governo, fatta eccezione per lo stato di guerra. «Manca, perciò, qualsivoglia presupposto legislativo su cui fondare la delibera del Consiglio dei Ministri del 31.1.2020, con consequenziale illegittimità della stessa per essere stata emessa in violazione dell’art. 78, non rientrando tra i poteri del Consiglio dei Ministri quello di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria». Dunque, è illegittima perché è stata emanata senza presupposti legislativi, «in quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di legge, ordinaria e costituzionale, che attribuisca al Consiglio dei Ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario».

IL RIFERIMENTO ALLE PAROLE DEL PROF. MANGIA

I Dpcm, quindi, non sono altro che «atti amministrativi capaci di incidere potenzialmente ed in effetti incidono su tutta la prima parte della Costituzione, con violazione della riserva di legge assoluta e del principio di legalità». Di fatto, al presidente del Consiglio (nella fattispecie Giuseppe Conte) è stato conferito il potere di attuare misure restrittive, senza indicazioni di limiti, neppure temporali, «con compressione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione» come la libertà personale, di movimento e di riunione, di professare la propria fede religiosa, il diritto alla scuola, al lavoro, alla libertà di impresa. Nella sentenza si contesta anche la proroga dello stato di emergenza. «Uno stato di emergenza prorogato per accordo politico – anzi per negoziazione fra parti dello Stato – è una contraddizione in termini, in quanto “normalizza” l’eccezionalità, per cui non servono più situazioni impreviste ed eventi fuori dall’ordinario e basta il principio della precauzione per invocare poteri speciali e non più emergenziali». Nelle motivazioni della sentenza si cita anche il professor Alessandro Mangia sulle nostre colonne de ilsussidiario.net, in riferimento alle libertà costituzionali trasformate in libertà autorizzate.