È anche colpa del Covid se gli adolescenti si sfidano in giochi sempre più pericolosi sui social network. L’ultimo caso che ha fatto grande scalpore è stato quello della piccola Antonella di Palermo, morta strangolata durante una prova di forza ripresa dalla webcam del cellulare. Addirittura in questo caso non è trattato nemmeno adolescente, ma una bambina di appena 10 anni. È doveroso e legittimo di fronte a certi casi di cronaca tanto agghiaccianti porsi degli interrogativi.
Per quale motivo i giovani si cimentano in challenge, cioè sfide, tanto estreme attraverso i social network? È questa la domanda da cui è partita la ricerca realizzata dall’Associazione Nazionale Dipendenze tecnologiche, GAP e cyberbullismo, condotta in collaborazione con il portale Skuola.net e con VRAI (Visions, Robotics and Artificial Intelligence – Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’Università Politecnica delle Marche) su un campione di 3.115 studenti di età compresa tra gli 11 e i 19 anni. Il primo risultato che è emerso è che circa il 34% ha già partecipato a sfide online.
LA SFIDA È TIPICA DELL’ADOLESCENZA. IN TEMPO DI COVID AVVIENE ONLINE
“Il tema della sfida ha sempre riguardato il mondo dell’adolescenza e della preadolescenza – ha affermato la professoressa Anna Maria Giannini, ordinario di Psicologia Generale presso l’Università Sapienza di Roma, e responsabile dell’area di Psicologia dell’emergenza presso l’Ordine degli Psicologi di Roma – perché è una sorta di test d’identità, un’illusoria dimostrazione di coraggio che, sempre illusoriamente, li renderà attraenti e accettati. Se prima queste sfide avvenivano nei cortili, in strada, in luoghi di condivisione fisici, ora avvengono sui social”. Ora che c’è il Covid e i ragazzi sono forzatamente lontani dalla scuola e dai luoghi di socializzazione diretta. “Il Covid ci ha impoveriti a livello di relazioni sociali, e questo sarà lampante soprattutto nel caso degli adolescenti – ha detto ancora Giannini – C’è grande preoccupazione sul futuro dei nostri ragazzi. Speriamo che a questa giusta preoccupazione seguano effettivamente degli interventi concreti. Per i ragazzi non è in gioco la mera preparazione scolastica: a causa dell’isolamento rischia di mancare una preparazione alla vita».