Usa parole profondamente amare il professor Marco Mancini, docente ordinario di Costruzioni idrauliche, insegnante di Sistemazione di bacini idrografici e infrastrutture idrauliche al Politecnico di Milano, nonché responsabile di progetti scientifici del Miur e dell’Esa, quando gli chiediamo della drammatica situazione che sta vivendo Venezia in queste ore. L’innalzamento record del livello delle acque, che ha toccato l’altro ieri addirittura i 187 centimetri, ha provocato la morte di due persone e danni gravissimi a strutture di interesse mondiale come la Basilica di San Marco.
Può essere il Mose la soluzione a questi problemi?
In tanti hanno studiato il Mose come possibile soluzione, ma i risultati di un progetto che di fatto non è stato chiuso mai, mi fanno dire che è una soluzione che lascia a desiderare.
In effetti, nel mirino è più volte finito il sistema protettivo, le schiere di paratie mobili a scomparsa poste alle cosiddette bocche di porto, cioè i varchi che collegano la laguna di Venezia con il mare aperto, che nelle intenzioni dovrebbero isolare la laguna dal mare Adriatico proprio durante le fasi di alta marea. Perché?
Sarebbe interessante andare a chiedere a tutti quelli che hanno gestito il Mose quanto tempo hanno perso. E ai progettisti, perché non funziona.
Pochi giorni fa, nel corso dell’ennesimo tentativo di collaudo della struttura, si sono verificate vibrazioni anomale e le cerniere delle paratie sono risultate arrugginite e da sostituire…
Il Mose è un bell’esercizio di idraulica, ma probabilmente non è inserito bene nella realtà di Venezia.
C’è chi porta come esempio il sistema posto a difesa della città di Londra, sul Tamigi. Che ne pensa?
È sì un sistema analogo, ma per la situazione del territorio che si affaccia sul Tamigi, meno complesso e meno esteso rispetto alla Laguna, è più semplice dal punto di vista della movimentazione della paratia, che infatti non si gonfia. Lì non viene immessa aria e si toglie l’acqua come con il Mose, ma funziona con un meccanico rigido.
Insomma, sul Mose l’ingegneria italiana non ci fa una bella figura?
Stiamo parlando di società di ingegneria importanti che hanno lavorato per il Mose, eppure il sistema non funziona. Vuol dire che il progetto non può essere solo un mirabile esercizio di calcolo, ma va inserito bene là dove deve funzionare.
È un po’ quello che è successo con il ponte Morandi a Genova?
Anche il ponte Morandi era un mirabile esercizio di calcolo, ma lo stesso Morandi si diceva preoccupato perché era posizionato in un posto dove l’atmosfera era corrosiva per la sua struttura, dunque non era la soluzione giusta. Evidentemente anche per il Mose vale lo stesso discorso.
C’è da augurarsi, quindi, che vengano risolti i problemi tecnologici, frutto di una progettazione non del tutto attenta, così che le pareti del Mose non corrano il rischio di arrugginirsi?
La sua realizzazione ha visto evidentemente una serie di errori, tecnologie che non funzionano adeguatamente e probabilmente siamo in presenza di un’ingegneria che lascia un po’ a desiderare.
Intanto tutto il mondo è sottoposto a cambiamenti climatici estremi. Quanto influiscono sulla singolarità di Venezia dal punto di vista idrologico?
Il problema di Venezia è complesso. Nasce su una laguna, che è soggetta alle fluttuazioni cicliche delle maree, e l’acqua alta è un fenomeno che si manifesta per la concomitanza di più fattori, legati per esempio all’astronomia o ai venti che provengono dal sud dell’Adriatico. A questo dobbiamo aggiungere altri problemi come i piccoli cedimenti strutturali della falda, le condizioni climatiche peggiorate negli ultimi anni e il complessivo innalzamento del livello del mare. E in futuro il quadro sicuramente si aggraverà. Purtroppo eventi di questo tipo si verificano e si verificheranno sempre più spesso e Venezia ne soffre sempre di più.
(Paolo Vites)