Un tempo protagonista indiscusso delle tavole e delle campagne del Sud, il fico oggi sopravvive come una “comparsa” stagionale: nelle crostate estive, nelle confetture artigianali, nei cestini natalizi di frutta secca.
Ma l’Italia è stata per secoli tra i giganti della sua coltivazione, con varietà Dop come il Dottato di Cosenza e il Bianco del Cilento come testimonianza di un forte legame con Campania, Puglia e Calabria ma, dal dopoguerra, la superficie dedicata al fico è diminuita dell’80%, schiacciata dalla complessità logistica (il frutto fresco è fragile e poco adatto alla grande distribuzione), dallo spopolamento delle campagne e dalla concorrenza di colture più remunerative.
A invertire la rotta arriva ora Agrofig – progetto internazionale guidato dall’Università di Pisa – che mira a restituire al fico un ruolo centrale del settore agroalimentare del Mediterraneo: “Utilizzeremo tecniche genomiche per selezionare varietà resilienti e nutrienti” spiega Tommaso Giordani, docente di genomica vegetale e coordinatore dell’iniziativa.
Un ritorno alle origini, o quasi: il fico – arrivato in Italia dal Medio Oriente millenni fa – era considerato sacro da Romani e Greci, simbolo di abbondanza e fertilità. Oggi invece – mentre i campi del Sud si riempiono di avocado e mango – questa pianta riscopre il suo potenziale: resistente alla siccità, adatta a terreni poveri, alleata contro l’erosione del suolo.

Fico, l’albero del futuro? Tra clima impazzito e turismo rurale
Le sue radici profonde del fico cercano acqua anche in terreni aridi, mentre la chioma ombreggia il suolo, riducendo l’evaporazione – caratteristiche fondamentali dati i recenti e diffusi fenomeni di desertificazione – peculiarità che lo rendono un candidato ideale per l’agricoltura del futuro, specie nel Sud Italia, dove le temperature salgono più che in altre zone.
Agrofig, finanziato con 850mila euro dall’UE, studierà anche il suo impatto ecologico: l’albero attira impollinatori, è benefico per la biodiversità e – se integrato in sistemi agroforestali – può sostenere colture erbacee.
Il progetto, che interessa Spagna, Tunisia e Turchia, mira al rilancio non solo del frutto fresco, ma anche le specialità tradizionali: dal Lonzino di fico marchigiano alla Soppressata di Carbone lucana.
Ma la sfida sarà persuadere i consumatori a riscoprire un prodotto associato al passato – come accadde in con il farro o la quinoa – adesso per il fico servono narrazioni nuove.