Per quale motivo Alessandro Manzoni lasciò di scrivere l’Adelchi per dedicarsi a “I Promessi sposi“? E la data del 24 aprile 1821, che campeggia sul manoscritto del Fermo e Lucia, cioè della prima redazione dei Promessi sposi, è solo casuale o può avere una spiegazione di natura storica? Da questi interrogativi muove Paola Italia, filologa della scuola di Dante Isella, nel saggio Manzoni riformatore “24 aprile 1821”, in uscita nel volume Il Settecento riformatore: un lessico per la contemporaneità, a cura di Stefano Scioli e Gino Ruozzi (Bononia University Press). “Quali erano le idee e gli eventi che, pur nell’isolamento della casa di via Morone, avevano spinto lo scrittore ad abbandonare il teatro (…)?“, si domanda l’autrice. L’ipotesi è che ad animare Manzoni sia stato un desiderio “politico” e insieme privato, la volontà di esprimere con I Promessi Sposi un riformismo liberale innestato su basi cattoliche, come suggerisce Il Corriere della Sera, pur senza esporsi in prima persona. Questo perché, come insegna la vicenda di don Abbondio, “il coraggio uno non se lo può dare… “.
PERCHE’ MANZONI SCRISSE I PROMESSI SPOSI?
Paola Italia ricostruisce così il contesto di quei giorni, caratterizzati dal processo istruito dagli austriaci per cospirazione contro lo studente di musica Piero Maroncelli e il letterato Silvio Pellico. Come riporta Il Corriere della Sera, tradotti nei piombi di Venezia, i due saranno interrogati dal celebre magistrato trentino Antonio Salvotti. Qui le cronache divergono sui metodi utilizzati dall’inquisitore per assecondare i dettami della polizia austriaca, che chiedeva di annientare gli affiliati della carboneria e coloro i quali non li avevano denunciati. Da una parte chi lo descrive come un mastino feroce e implacabile (dedito, chissà, anche a torture psicologiche e fisiche); dall’altra chi ne parla come figura non esente da slanci compassionevoli. Fatto sta che prima Maroncelli, poi Pellico ammettono la loro colpevolezza. Quest’ultimo chiama in causa anche Romagnosi e Melchiorre Gioia, “tutti letterati e prelati che con Manzoni avevano e avrebbero avuto rapporti strettissimi“, ricorda Italia. Si dà il caso che il “crollo” di Pellico avvenga esattamente il 24 aprile 1821: coincidenza? L’ipotesi, come riporta Il Corriere della Sera, è che “Manzoni avrebbe voluto lasciare un segno di riconoscimento a futura memoria“.
PERCHE’ MANZONI SCRISSE I PROMESSI SPOSI? UN MOVENTE POLITICO
Secondo la filologa potrebbe essere dunque da riconsiderare anche la Storia della Colonna Infame, a lungo ritenuta una semplice «appendice» dei Promessi sposi. In che senso? Forse alla luce dell’istruttoria contro Maroncelli-Pellico-Confalonieri, Manzoni avrebbe ripensato, per analogia, il processo secentesco agli untori che fin dalla sua prima pubblicazione del 1804 – ricorda il Corriere – “aveva giudicato come la vicenda storica ideale in cui situare un romanzo capace di divulgare in tutte le classi sociali il rifiuto della tortura come mezzo di giustizia“. Ne sarebbe una prova la lettera inviata dall’amico Ermes Visconti al filosofo francese Victor Cousin il 30 aprile 1821, nella quale a proposito del romanzo appena iniziato dal Manzoni (sei giorni prima), non viene citato alcun intreccio amoroso: “Alessandro dunque ha incominciato a dipingere il quadro della Milano del 1630: le passioni, l’anarchia, i tumulti, le follie e le assurdità di quei tempi“. Si cita addirittura “il celebre processo chiamato da noi della Colonna Infame, capolavoro di prepotenza, superstizione e idiozia…“. L’idea di Paola Italia è che un po’ come accaduto con l’ode Marzo 1821 – dedicata alla rivolta piemontese (fallita) contro lo straniero capeggiata da Santorre di Santarosa in accordo con Carlo Alberto, messa da parte per ragioni di opportunità e pubblicarla in tempi più favorevoli, nel 1848 – il Manzoni abbia visto in un romanzo storico come I Promessi sposi l’esempio massimo di atto politico in grado di esprimere per la sua indole, l’unico modo di esprimere in maniera “tollerabile” le sue opinioni private.