Niente voto. Primo, perché lo chiede la Lega, che vincerebbe nelle urne; secondo, perché la Lega a Palazzo Chigi sarebbe sgradita all’Europa. È questo a spiegare perché le “prove” di alleanza M5s-Pd sono destinate ad andare a buon fine e a produrre un accordo nei tempi stabiliti dal Capo dello Stato.
Tocchiamo con mano gli effetti della riforma costituzionale approvata tra il 2011 e il 2012, spiega Mario Esposito ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Lecce. “Grazie alla riforma degli articoli 81 e 97 della Costituzione, gli organi Ue fanno parte integrante del nostro circuito di indirizzo politico”. Dunque sono gli altri a decidere per noi. E questo, in gran parte, è solo colpa nostra.
Perché esclude il voto, professore?
Perché in caso di scioglimento, si voterebbe non prima di 60 giorni, tenuto conto dei tempi necessari per il voto all’estero: saremmo già in piena sessione di bilancio, nella quale il governo nazionale è costituzionalmente subordinato alle direttive impartite dagli organi Ue. Ogni scelta istituzionale relativa alla crisi dovrà quindi essere orientata alla formazione di un esecutivo che abbia, per così dire, innanzitutto la fiducia di Bruxelles.
Allora è come se tutte le analisi di questi giorni facessero i conti senza l’oste. Nessuno fa notare che abbiamo questi vincoli.
Tutte i commenti, i retroscena, gli scenari che leggiamo sono senza fondamento giuridico nella misura in cui formulano previsioni che non tengono adeguatamente conto dell’assetto e della distribuzione vigenti dei poteri politici.
Verosimilmente cosa farà Mattarella?
In ogni caso sceglierà la soluzione che garantisca la maggiore linearità di rapporti con gli organi Ue, i quali, in forza degli articoli 81 e 97 Cost., fanno parte integrante del nostro circuito di indirizzo politico. Non va dimenticato che il presidente della Repubblica ha manifestamente partecipato con ruolo decisivo alla composizione del Governo Conte, con espresso riferimento ad un dovere di fedeltà del Governo all’Ue. È ragionevole attendersi che in questa fase eserciti i propri poteri seguendo lo stesso parametro: la scelta cadrà sulla modalità che meno interferisce con il ruolo istituzionale dell’organo composito che si occupa del bilancio.
Si spieghi, professore.
È molto semplice. Come Mattarella ha esercitato il potere di nomina calibrandolo su quei doveri di fedeltà ai dettami dell’Unione, parallelamente sarà tenuto a calibrare il potere di scioglimento sugli articoli 81 e 97 Cost.
In ogni caso niente voto.
No, nel momento in cui la consultazione popolare lasci presagire un esito che possa causare un conflitto nelle relazioni con l’Ue. Quali che possano esserne le giustificazioni, la nuova organizzazione costituzionale – quale risulta dalla legge costituzionale 1/2012 – subordina la dinamica rappresentativa nazionale agli obiettivi di equilibrio del bilancio e di sostenibilità del debito per come – si badi – concretizzati di tempo in tempo in sede europea. Ecco la fedeltà all’Ue.
Si prepara un altro 2011?
No, stavolta siamo ben oltre perché abbiamo doppiato il Capo di Buona Speranza della riforma costituzionale che ha cambiato gli articoli 81, 97, 117 e 119 Cost. Con la modifica di quelle norme non soltanto abbiamo “interiorizzato” il Fiscal Compact, senza che ve ne fosse necessità, ma abbiamo profondamente mutato titolarità e forme di esercizio della sovranità.
Si capisce dunque perché proprio di sovranità si parli tanto.
In realtà, sembra quasi essersi realizzato un antico sogno di alcuni Paesi europei: governare gli italiani col loro consenso. Oggi siamo un Paese costituzionalmente soggetto, per propria “libera” determinazione costituzionale, ad un “concerto” di Stati stranieri.
Con buona pace di Salvini, che ha citato Cicerone in Senato: “la libertà non consiste nell’avere un padrone giusto, ma nel non averne alcuno”.
Per molto, troppo tempo le nostre classi dirigenti hanno sottovalutato gli effetti di un’integrazione europea attuata dal legislatore ordinario, quindi con maggioranze semplici, senza preoccuparsi di governare tali scelte a livello costituzionale, sino alla “abdicazione” del 2012, che recepisce acriticamente, in Costituzione, il portato dell’acquis comunitario.
Recepisce acriticamente, ha detto? Vuol dire che le modifiche alla Costituzione non ci sono state richieste dai trattati?
Esatto. I trattati europei non hanno mai vincolato le scelte dei singoli Paesi relative all’adattamento dei loro ordinamenti: il che, con ogni evidenza, escludeva ed esclude alla radice ogni effettivo intento federativo, nonostante le acrobazie lessicali e concettuali di casa nostra; si è parlato perfino di federalismo asimmetrico… Davvero singolare una comunità che non si preoccupa dell’eguaglianza dei suoi membri per quanto attiene all’aspetto essenziale delle condizioni costituzionali di adesione!
Cosa significa?
Lo scenario è simile a quello un tempo ben noto al diritto internazionale, di Paesi che si affidavano al governo di sovrani stranieri: se il comitato esecutivo nazionale non piace, lo si cambia.
Che cosa è cambiato nel frattempo?
È cambiata la forma di governo e direi anche quella di Stato.
Come la definirebbe?
Se si tiene presente che, secondo un principio del diritto costituzionale generale, non è ammissibile che un popolo rinunci alla propria indipendenza, la domanda impone una riflessione radicale…
Cosa rappresenta, vista da Bruxelles, la volontà di Salvini di andare al voto?
Una forzatura inopportuna perché potenzialmente capace di confliggere con le determinazioni che saranno assunte in sede europea.
Una forzatura democratica: andiamo al voto per vedere chi ha la maggioranza nel paese.
Piaccia o non piaccia, questo è il risultato di revisioni costituzionali che, in contrasto con l’articolo 1 Cost., hanno introdotto principi di dipendenza politica dello Stato italiano da organi formati in larga misura da Stati esteri, nell’ambito dell’Ue, senza peraltro prevedere alcun efficiente contrappeso, al contrario di quanto hanno fatto gli altri Paesi e soprattutto quelli egemoni, che hanno opportunamente provveduto a dotarsene, ma nella ben diversa sede della ratifica dei trattati europei, affermando così la propria sovranità e marcando l’alterità rispetto all’organizzazione europea, della quale si servono in funzione ausiliare.
Siamo stati più europeisti degli altri. Ma a che prezzo?
Diciamo pure che siamo stati più europeisti, anche se la storia del nostro rapporto con le istituzioni europee andrebbe ricostruita con precisione. Per alcuni aspetti, dai trattati di Roma e di Parigi si è dato avvio ad una riconformazione del nostro ordinamento giuridico per legge ordinaria, facendo leva sul solo articolo 11 della Costituzione, attribuendogli significati francamente non riconducibili al suo testo, se non addirittura in contrasto con questo. Ma occorrerebbe analizzare con attenzione i rapporti tra tale disposizione e il trattato di Parigi del 1947. Quanto al prezzo: non crede che, quando si intromette nelle scelte relative alla soluzione della crisi di governo italiana, Macron si stia occupando, in un certo senso, di suoi affari interni?
Si può tornare indietro?
Certo, rivedendo le revisioni. E in questa prospettiva un ricorso alle urne potrebbe giovare per apprezzare quale sia l’orientamento del popolo, che è ancor oggi, giuridicamente, il titolare della sovranità.
(Federico Ferraù)