Il “movente” dell’attacco della Russia all’Italia, in particolare al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, risiede nel patto che Giuseppe Conte e Vladimir Putin hanno siglato nel 2020, quando è scoppiata la pandemia Covid. Così si spiega anche il riferimento da parte dei russi all’aiuto offerto nelle prime fasi dell’emergenza. A svelare il retroscena è il Corriere della Sera, secondo cui il timore è che questa ritorsione si realizzi rivelando cosa successe dopo l’arrivo della delegazione dei russi in Italia (ma non è l’unica conseguenza possibile). La versione ufficiale parla di aiuti per affrontare appunto l’emergenza pandemica, in realtà sarebbe accaduto altro.



In ballo ci sono cartelle cliniche con dati sanitari dei pazienti, accordi commerciali per farmaci e strumentazione, ma soprattutto un patto per la realizzazione del vaccino Sputnik. Bisogna fare un passo indietro fino ai primi momenti dell’emergenza, quando l’Italia lamentava la carenza di ventilatori e mascherine. Dalla Russia arrivarono aiuti sanitari, ma anche 104 persone, di cui solo 32 operatori sanitari (28 medici e 4 infermieri). Gli altri sono militari, guidati dal generale Sergey Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell’esercito russo. Il generale ha lavorato con aziende che producono e riparano armi per la protezione chimica, radioattiva e biologica.



LA MISTERIOSA MISSIONE DI SCIENZIATI E MILITARI RUSSI

Con lui c’erano Natalia Y. Pshenichnaya, vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr V. Semenov, dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo. Entrambi lavorano al Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui Vladimir Putin affidò la supervisione del contrasto alla pandemia. Lo precisa il Corriere della Sera, spiegando che la delegazione russa ha usato informazioni e reperti genetici, ha visionati dati riservati dei pazienti e dell’organizzazione sanitaria. Lo dimostrerebbe il fatto che da un cittadino russo che si è ammalato in Italia il 15 marzo è stato elaborato il vaccino Sputnik. Il nostro paese, a differenza di quanto fatto dalla Cina, non mise alcun vincolo di accesso a ospedali, laboratori e dati.



Un anno dopo la Regione Lazio ha firmato un patto di collaborazione scientifica tra l’Istituto Spallanzani di Roma e l’Istituto Gamaleya di Mosca per valutare la copertura delle varianti di Sars-CoV-2 anche del vaccino Sputnik V, nonostante l’Ema non lo avesse mai autorizzato. Le due strutture sanitarie, secondo il quotidiano, si sarebbero scambiati dati sensibili sul Covid, ma non si sa come. Sono tante le cose che non si sanno e i sospetti crescono quando si rievoca la lettera inviata nell’aprile 2020 al quotidiano La Stampa dopo gli articoli del giornalista Jacopo Iacoboni, che per primo rivelò i dettagli della missione russa in Italia. “Chi scava la fossa, ci finisce dentro“, era scritto al termine della missiva firmata da Igor Konashenkov, capo della comunicazione ufficiale di Mosca.