Il film Perfect Days è appena uscito nelle sale italiane dopo essere stato in concorso al Festival di Cannes 2023 portando l’attore protagonista Koji Yakusho a vincere il Premio per la migliore interpretazione maschile. Il regista è Wim Wenders, su cui non si può che parlare bene, in primis perché non legato al cinema hollywoodiano e, soprattutto, perché i film non li gira per business. C’è sempre lui con le sue suggestioni, esperienze, relazioni, creatività. Ha girato il film in diciassette giorni con camera a spalla e luce naturale. Essenziale la realizzazione, Wenders, e la storia raccontata nel film.



Hirayama (Koji Yakusho) è dipendente di una società che pulisce i bagni pubblici di Tokyo. Vive in una casetta povera ed essenziale, si alza all’alba, prende un caffè in lattina da una macchinetta, attraversa la città ancora vuota, pulisce i bagni girando con il furgoncino per la città, pranza con panini sempre nello stesso parco, fotografa con una vecchia Olympus compatta gli alberi e le fronde illuminate dal sole. Finito il turno si va lavare ai bagni pubblici, cena nello stesso baretto, torna a casa e legge un libro prima di addormentarsi.



Nel giorno di riposo indossa l’orologio, gira in bicicletta, porta in lavanderia a gettoni i vestiti sporchi, si ferma a pranzo nello stesso localino in cui ha un feeling (ne parlerò più avanti) con la proprietaria, va in libreria e compra un libro, porta a sviluppare un rullino fotografico e ritira le stampe di quello che ha portato la settimana prima, torna a casa, guarda e cataloga le foto, legge il libro e si addormenta.

Questa è la sua routine.

La casa ha due stanzette, senza armadio e suppellettili, solo una grande quantità di libri di grandi autori in formato economico (ne sta leggendo uno di Willam Faaulkner). Sul mini van alla mattina ascolta musicassette di Lou Reed, The Velvet Underground, Patty Smith. Ha un vecchio cellulare senza internet. Sul lavoro è meticoloso, attento ai dettagli, guarda con lo specchietto all’interno dei water. Ha un giovane aiutante scapestrato che vive anche sul lavoro con il telefonino in mano e gli chiede del perché s’impegni tanto nel pulire i cessi. La prima sua parola, Ciao, la sentiamo dopo dieci minuti dall’inizio del film, una breve frase dopo mezz’ora, tanto che l’aiutante dice che non conosce la sua voce. Saluta ed è cordiale con tutti sempre con cenni della testa e sorrisi.



Quando alla mattina si sveglia guarda un albero fuori dalla finestra e sorride, esce di casa guardando il cielo e sorride, ascolta le canzoni sul furgoncino e sorride. È felice della sua vita.

Una sera trova sulle scale sua nipote Niko, adolescente scappata di casa. Lei lo segue nel suo lavoro aiutandolo. Dopo una settimana arriva la madre, sorella di Hirayama, per riportare a casa la figlia e gli dice che il vecchio padre sta molto male, ma lui non vuole rivederlo. S’intuisce che la famiglia d’origine è ricca (lei è con tanto di limousine), che ci sono stati problemi, ma più di questo non si scopre. Dopo l’abbraccio con la sorella, lui piange.

In un giorno di riposo arriva prima al solito localino e vede la proprietaria abbracciata a un uomo. Corre a comprare tre lattine di bevande alcoliche e un pacchetto di sigarette, sicuramente retaggio di una vita passata. Mentre sta fumando, si presenta l’uomo visto nell’abbraccio che gli dice di essere l’ex marito, lui l’ha abbandonata, risposato, venuto a ringraziarla. È malato terminale e a breve morirà, gli chiede di curarsi di lei. Hirayama gli dice che non è innamorato, ma si coglie che ha un feeling con lei spirituale.

Questa è la vita di Hirayama. Essenziale, come la sua casa, ascetico potremmo dire, silenzioso nel mondo debordante odierno. Dedito in maniera maniacale nel pulire i cessi perché chi ne usufruisca sia contento di trovare un luogo pulito. Lavoro come compito. Ed è contento, felice. L’ultima scena è il suo volto in primo piano all’alba in auto, inizialmente appena commosso e poi sorridente che ascolta Nina Simone cantare:

È una nuova alba,

è un nuovo giorno,

è una nuova vita per me e mi sento bene.

Il film termina ed appare la scritta: Komoremi.

È quel breve momento in cui vediamo un luccichio che filtra la te foglie degli alberi, dissipando le ombre.

È un termine spirituale giapponese, guardare quel breve bagliore per recuperare una positività

Summa finale del film.

Bel film indubbiamente, ma esco con una domanda per Wenders, per noi, per me: da dove sorge la felicità di Hirayama? Dalla sua integrità, dal vivere in maniera essenziale? Dal lavorare con passione? Dall’essere in armonia con gli altri e con la natura? Come continua a rinvigorirla?

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